Presidente, arriviamo alla discussione di questa mozione grazie al lavoro svolto dall’indagine conoscitiva all’interno della Commissione bicamerale per la semplificazione, grazie al lavoro coeso tra i gruppi all’interno della discussione generale che abbiamo svolto. Arriviamo all’approvazione di questa mozione soprattutto spinti dalla necessità e dalla consapevolezza che della semplificazione è meglio non parlare più, ma agire. Credo che questo sia un principio di buon senso che deve richiamare noi tutti come legislatori alla qualità del nostro lavoro, alla qualità di quanto noi dibattiamo e di quanto noi in qualche modo produciamo di bene o di male all’interno delle aule parlamentari.
Credo che rispetto a questo il tempo sia scaduto e non sia più il tempo degli annunci perché semplificare è diventata una litania quasi stanca che, all’incedere di ogni insediamento di un nuovo Esecutivo noi ci riportiamo e lo riportiamo come un fardello sulle nostre spalle, fardello che trasmettiamo, in realtà, ai costi che le imprese e i cittadini devono subire quotidianamente, quasi come se fosse un’angheria o una distanza progressiva che si avverte tra cittadini e pubblica amministrazione. Credo che questo sia ormai chiaro ed evidente, ce lo hanno detto tutte le relazioni che abbiamo avuto il modo e il piacere di ascoltare nelle audizioni, nei lunghi mesi nella Commissione, e ce lo dice lo stato dell’economia del Paese e della sua competitività.
Sono elementi sui quali noi non possiamo più adottare vecchie modalità o modalità di natura estemporanea, quasi degli spot che hanno più il carattere spettacolare della semplificazione, della deregolamentazione, del taglio normativo, del taglio del numero di leggi e che poi non producono alcun effetto in realtà sulla vita reale dei cittadini o sulla capacità di fare impresa delle aziende italiane. I punti salienti di questa mozione si inseriscono pienamente nel solco di quella che era, e doveva essere, la semplificazione in questo Paese, anticipata nella legge del 1990 sulla trasparenza, che avrebbe dovuto essere la rivoluzione copernicana nel rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini, un flusso che all’interno degli anni Novanta ha avuto un suo incardinamento grazie ai testi unici, ma che ha anche avuto negli anni successivi dei grandi stop e delle grandi complicazioni a partire da una riforma mancata, quella del Titolo V, che ha complicato ulteriormente il sistema di potere e soprattutto i luoghi della produzione legislativa nel nostro Paese.
Ebbene, il primo punto su cui vorrei soffermarmi è quello della necessità di reintraprendere una strada che sembra antica, ma che va invece riscoperta nella sua modernità, ovvero quella della unitarietà della produzione normativa, della propria capacità di essere unitaria omogenea,