Signor Presidente, parlare dell’amianto in quest’Aula significa parlare di un pezzo di storia del Novecento dal punto di vista di quelle che sono state le relazioni industriali e le lotte dei lavoratori, di quello che è stato un avanzamento della cultura dell’ambiente e della bonifica, dei rapporti tra gli enti locali e di un pezzo della normativa italiana che, per una volta tanto, si pone al centro e si pone come avanguardia rispetto ad altre legislazioni di natura internazionale.
Sono infatti passati ventidue anni da quando in Italia l’amianto è stato definitivamente messo al bando. Con la legge n. 257 del 1992 infatti l’estrazione, l’importazione, il commercio e l’esportazione di tutti i materiali contenenti amianto non è più consentita in Italia. Come si è arrivati a quello ? Si è arrivati dietro anni in cui è stato celato – coscientemente, non coscienziosamente – il rischio di un tipo di produzione e la lavorazione di materiali contenenti sostanze fortemente dannose per l’ambiente, in particolare per la salute dei lavoratori e dei cittadini italiani. Si è arrivati a quella decisione solo dietro lotte, battaglie inizialmente sindacali, poi diventate politiche e poi parte della nostra cultura civile e civica, che ci consente di arrivare fino al 1992 con questo grande passaggio.
Eppure, da vent’anni, per quanto non lo si produca, non lo si esporti e non lo si utilizzi più, l’amianto continua a mietere vittime. Si stima che siano poco meno di 10 mila i casi ufficiali di morte per mesotelioma e sono stime, appunto, molto al ribasso rispetto a quella che è la realtà. Molto spesso, dal 1992 ad oggi, abbiamo incontrato notevoli difficoltà per quanto riguarda le bonifiche, per quanto riguarda il sostegno a quegli enti locali che hanno fatto della bonifica una bandiera positiva, non solo per il rispetto dell’ambiente, ma per la qualità della vita e per l’affermazione di uno standard culturale superiore rispetto alla qualità della vita dei propri cittadini.
Ovviamente i principali esposti, le principali vittime legate all’utilizzo dell’amianto sono e sono stati i lavoratori, ma le indagini epidemiologiche ci dicono, pur nella carenza molto spesso dei dati, che molto spesso incontriamo vittime cosiddette ambientali, ovvero chi viveva in prossimità dei luoghi e dei siti di produzione o dove l’amianto è stato utilizzato. Il dramma è che, andando molto a rilento le bonifiche, molto spesso i siti inquinanti e quindi ancora portatori di malattia e quindi portatori di rischio, sono ancora presenti in misura consistente nel nostro Paese.
Quella dell’amianto, negli ultimi vent’anni, è stata poi una serie di promesse, di buone intuizioni, ma spesso mancate, come è stato quello per l’istituzione di un fondo presso l’INAIL per le prestazioni aggiuntive agli altri benefici già riconosciuti dalla legge per le vittime dell’amianto, ma che non si estende, appunto, a chi è vittima rispetto ad un inquinamento di tipo ambientale o per i familiari.
Abbiamo incontrato notevoli difficoltà rispetto a quanto riguarda le bonifiche, sì incentivate, ma spesso legate, per quanto riguarda la capacità di spesa degli enti locali, ai vincoli del Patto di stabilità, che di fatto non consentono né di programmare né di portare a termine in maniera sistematica le bonifiche, così come una parte abbastanza recente, normativa e regolamentare, del piano nazionale amianto, licenziato solo due anni fa e che ancora non ha avuto la completa approvazione attraverso la Conferenza Stato-regioni. Pertanto interventi rispetto a tre linee fondamentali: quella della ricerca e della salute, quella della bonifica dell’ambiente e quella parte previdenziale che, però, non trova ancora applicazione, non solo perché non completamente ratificata e non completamente approvata, ma perché mancante in buona parte, se non per la parte sanitaria, di risorse.
Ebbene, credo che occorra effettivamente chiudere quella pagina, quella parte del Novecento che ha fatto parte della storia dell’amianto e che ha rappresentato pertanto un modo di produrre, il cui utile è stato fatto a scapito della salute dei cittadini e dei lavoratori e della salvaguardia dell’ambiente. Occorre pertanto intervenire in maniera seria, ed è l’oggetto di questa mozione, per cui le azioni e gli intenti si traducano da un impianto normativo ad un impianto realmente fattuale. E pertanto è necessario che si avvii quanto prima una completa approvazione del piano nazionale amianto, che consenta, nella parte della relazione con le regioni, il censimento pieno dei siti inquinati, censimento pieno che è tutt’altro che completo nella nostra nazione e ricordo che molte regioni mancano, o nella completezza o in toto, del proprio censimento. Mancano dei piani di bonifica e di smaltimento e qui siamo all’altro grande dramma rispetto alla bonifica: il fatto che non si può dire che si vuole fare la bonifica, se poi non si prevede una seria pianificazione dei luoghi di smaltimento, siano essi discariche o altro.
Consideriamo che attualmente più del 60 per cento dell’amianto bonificato, quindi rimosso dagli edifici, pubblici o privati, in Italia viene portato all’estero, in particolare in Germania. E occorre finalmente finanziare, se non incrementare, le risorse assegnate al Fondo per le vittime dell’amianto, quello istituito con la finanziaria del 2008, di cui dicevamo.