La giornata di oggi ci consegna un’Italia uguale a se stessa e incapace di cambiare. Si acquisisce piuttosto la tendenza e la tentazione di guardare con nostalgia e indulgenza al nostro dopo-guerra. La politica si scopre sempre meno di rappresentanza e sempre più di rappresentazione e senza ambizioni, condannata alle “larghe intese”, rese oggi ancora più stabili. Berlusconi, prima di condannarsi all’irrilevanza, si ritaglia il ruolo di unico elemento di dichiarata instabilità.
Progressivamente si sta saldando nel nostro Paese un’ipotesi politica e istituzionale tale da rendere il presente stato di cose non un fatto occasionale e temporaneo, ma un progetto strutturato e di lungo periodo.
Il tratto di questo progetto politico si prefigge di disegnare un nuovo assetto del nostro Paese nelle sue più diverse articolazioni. Un progetto che abbandona il richiamo alla “responsabilità”, con cui è nato, per sostituirla con la “stabilità”, che diventa auto descrizione di sè e di ciò che lo circonda.
Oggi non abbiamo assistito alla fine di Berlusconi, nè del berlusconismo. Una volta ancora si è pensato che queste due cose potessero essere archiviate, praticando una sorta di perverso voyeurismo che porta al tifo dell’oppositore interno (Fini ieri, Cicchitto oggi), senza grandi risultati.
Sul terreno restano i grandi nodi economici e sociali del nostro Paese, i cittadini e le loro aspirazioni, ieri sacrificate alla responsabilità, oggi alla stabilità.