Il disegno di legge che converte il decreto-legge in discussione oggi si inserisce ormai nella troppo lunga serie di provvedimenti caratterizzati da titoli di forte impatto mediatico e densi di materie eterogenee fra loro. Ancora una volta, dobbiamo richiamare il Governo a fare politiche realmente utili, incisive, capaci di programmare, e non solo utili a creare titoli o articoli di giornale. Non usare allo stesso tempo lo strumento della decretazione per mettere assieme materie generiche in una generica miscellanea, come invece troppo spesso abbiamo assistito in quest’Aula e in questi mesi.
Non condividiamo la filosofia ispiratrice del provvedimento, che punta ad aumentare l’occupazione attraverso incentivi alle imprese e maggiore flessibilità, anziché politiche attive sul lavoro. Abbiamo detto, altri colleghi in Commissione hanno detto: non sono gli incentivi che creano lavoro, ma sono le politiche, e sono le politiche industriali che da troppo tempo mancano in questo Paese.
Denunciamo in particolare le forzature sui contratti di apprendistato, utilizzati per ridurre il costo del lavoro e fronteggiare carenze di organico nella pubblica amministrazione. Si tratta ancora una volta – e spiace ribadirlo – di interventi parziali, in cui denunciamo il rinvio di scelte essenziali.
Le perplessità però rispetto a questo decreto-legge a quanto pare non sono solo nostre, non sono solo delle opposizioni di questa Camera, ma sono ben più diffuse e ben più larghe.Lo stesso esito delle votazioni al Senato, che ha approvato il decreto qualche giorno fa, ci dice che sì sono stati 203 i favorevoli, ma oltre ai contrari dell’opposizione addirittura 30 senatori si sono astenuti e forse questo ci spiega la frettolosità, la modalità del tutto irrituale con cui questo decreto è stato affrontato nella sua discussione in Commissione, la modalità della blindatura della Commissione in cui tutta la parte relativa agli emendamenti è passata senza discussione, a colpi di maggioranza. Ci sembra un modo di procedere affrettato e che le discussioni che si stanno facendo a margine di quest’Aula rispetto alle dubbie coperture, rispetto all’ipotesi che questo possa tornare al Senato, insomma in qualche modo riapre non solo la discussione, ma tutte le perplessità che noi abbiamo sollevato in Commissione.
Signor Presidente, noi ieri in Commissione non abbiamo apprezzato l’atteggiamento della Presidenza della Commissione, non solo non lo abbiamo apprezzato ma avremmo voluto stigmatizzarlo; è per rispetto stesso della Commissione che comunque abbiamo partecipato a quei lavori, ma sono lavori fatti in un modo che non è degno rispetto a dei lavori parlamentari e al rispetto stesso della Commissione, per come si sono svolti. Spero che questo sia un increscioso evento che non debba più ripetersi in quella modalità e con quell’irrisione stessa di chi conduceva la Presidenza nei confronti delle obiezioni delle opposizioni.
Non è solo all’interno di queste Aule che si rilevano perplessità rispetto al decreto, perché anche la Conferenza delle regioni e delle province ha dichiarato di ritenere insufficiente il contenuto del provvedimento rispetto alla platea dei destinatari e che servono ulteriori misure per quanto riguarda la promozione dell’occupazione e la ripresa dello sviluppo. Qua non si fa né l’uno né l’altro, a nostro avviso. La Conferenza in particolare ha rimarcato l’assenza di concertazione con le regioni – quindi la strozzatura del dibattito non ci lascia soli ma ci lascia in qualche modo in buona compagnia – che ha portato alla duplicazione, attraverso le misure contenute all’interno del decreto stesso, di manovre che spesso vengono svolte sia a livello territoriale sia a livello regionale, quindi con una mancata programmazione e forse anche una dispersione di risorse e di energie, rispetto a tematiche che dovrebbero essere, per le stesse dichiarazioni del Presidente del Consiglio, prioritarie, e se non lo sono per dichiarazione del Presidente del Consiglio lo sono per la situazione contingente, che noi tutti conosciamo, rispetto all’andamento occupazionale del nostro Paese.
Alle poche misure positive che si registrano nei primi articoli relativi al mondo del lavoro, se ne registra un numero ben superiore di aspetti negativi, come le misure di ulteriore precarizzazione dei contratti flessibili e atipici, e con i primi tentativi di rendere il contratto di apprendistato come nuova forma di sfruttamento vero e proprio dei lavoratori, ciò in un Paese in cui, come testimoniano i dati, è precario il 52 per cento dei giovani sotto i 25 anni, il doppio rispetto a una decina di anni fa.
Sostenere che si vuole proseguire un cammino intrapreso significa non rendersi conto di non aver mai avviato nessun percorso, determinando così un peggioramento della situazione; ad esempio restano da sciogliere nodi importanti come il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga, la questione degli esodati e la questione del blocco dell’aumento dell’IVA, di cui diremo tra poco, così come il non aumento dell’IVA nel settore socio-sanitario. Si tratta di vere e proprie emergenze sociali, che però appaiono totalmente aliene dal dibattito parlamentare e questo non può che farci impressione rispetto al totale distacco tra i problemi reali del Paese e quello che invece avviene fuori da queste Aule.
Sul fronte fiscale, oltre al noto differimento ad ottobre dell’aumento di un punto percentuale dell’aliquota IVA, con alcune norme si provvede ad assegnare agli enti locali maggiori margini finanziari attraverso proprie leve fiscali, al fine di dotarle di più risorse per onorare i debiti delle pubbliche amministrazioni, così come una serie di misure – e qui viene la collettanea, miscellanea e un po’ generica di questo decreto, di altre misure che vanno dalla normativa sulle società a responsabilità limitata semplice alle agevolazioni sui danni da eventi sismici, presenti e passati, a tutta un’altra serie di provvedimenti che intervengono sul Fondo sociale piuttosto che sul Fondo del servizio civile; però stiamo – credo – sul punto principale, quello del mancato aumento dell’IVA dal punto di vista fiscale.