Ecobonus : per essere efficace occorre stabilizzarlo

11 years ago by in Video Tagged: ,

La conversione del decreto-legge attraverso il disegno di legge in discussione oggi è molto importante, però riteniamo che avrebbe potuto esserlo in maniera molto maggiore e soprattutto più incisiva. Con questo provvedimento il Governo, per come aveva presentato il provvedimento al Senato e prima che venisse ampiamente modificato dal lavoro delle Commissioni, si limitava a fare poco più che recepire la direttiva n. 31 del 2010 dell’Unione europea, atto che riteniamo doveroso e condivisibile, con il quale si può finalmente sperare di far superare all’Italia la procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea nei confronti del nostro Paese proprio per il mancato recepimento della direttiva in materia. Noi tutti sappiamo quanto sia grande, però, il differenziale tra l’Italia e gli altri Paesi europei sul terreno dell’efficientamento energetico degli edifici, che dovrebbe portarlo rapidamente, come previsto dalla stessa direttiva, a definire un crono programma affinché si arrivi finalmente, sia per gli edifici pubblici, entro il 2018, sia per gli edifici privati, a un consumo di energia zero o considerato pari a zero. Questa è strada indicataci dall’Unione europea. E visto che i primi ad essere interessati dovrebbero essere gli edifici pubblici, avremmo fatto bene, come faremmo in altre circostanze, a stralciare dal Patto di stabilità degli enti locali e delle regioni gli interventi pubblici che andassero in questo senso.Tuttavia, a fronte di questi aspetti, riteniamo che questo provvedimento avrebbe potuto essere ancora più sostanzioso e sostanziale: avrebbe potuto essere un atto non solo di carattere anticiclico dal punto di vista economico, ma soprattutto innovativo sotto il profilo di una vera riconversione ecologica dell’economia del nostro Paese. L’Italia dovrà, prima o poi, rendere operativo un piano energetico industriale di grande portata. Questa era un’occasione che, ancora una volta, viene persa. Privo di una politica industriale da almeno vent’anni, il nostro Paese è altrettanto orfano di una seria politica energetica, i cui unici e ultimi indirizzi del Governo Monti ci riportano ad un insensato e, oltretutto, antieconomico ritorno alla ricerca degli idrocarburi.
Cominciare dalla riqualificazione energetica dell’edilizia è fondamentale e rappresenta un primo passo per ridurre le bollette energetiche di famiglie e imprese e rilanciare l’economia e l’occupazione. In questo senso, si inserisce, o può essere inserita, la proroga e l’ampliamento delle detrazioni fiscali previste dal disegno di legge. Purtroppo, si tratta di una proroga temporale ampiamente insufficiente che, al solito, genera confusione.
Misure come le detrazioni andrebbero rese stabili per portare benefici di natura contabile, economica, industriale e, ovviamente, di natura ambientale. Diventa un’ipocrisia, altrimenti, dire che il nostro Paese ha bisogno di misure di lungo respiro, perché tali non sono. Per essere coerenti servono strumenti ben costruiti e, soprattutto, una politica industriale che la sostenga e che sia orientata all’innovazione e a scelte cosiddette low carbon.
Eppure, stiamo parlando di una misura che, se ben articolata, potrebbe innescare subito, tra le altre cose, un rilancio della riqualificazione del vecchio ed energivoro parco edilizio nazionale: e quella della stabilizzazione della detrazione dell’ecobonus per interventi di efficienza energetica in edilizia sarebbe un ottimo esempio.
Una soluzione immediata e relativamente facile da attivare che abbiamo potuto verificare nell’arco di questi anni: ha portato ad oltre 1,4 milioni di investimenti per circa 18 miliardi di euro di investimenti stessi e l’occupazione per 50 mila addetti; 50 mila addetti coinvolti soprattutto nel tessuto delle piccole e medie imprese e nel tessuto dell’edilizia. E noi tutti sappiamo quanto questi settori produttivi siano quelli che maggiormente soffrono la crisi economica occupazionale. Un provvedimento che potrebbe avere due naturali benefici: la riduzione dei costi delle bollette energetiche – è opportuno ricordare che la spesa per le bollette energetiche per le famiglie italiane è aumentata del 52 per cento in dieci anni – e il rilancio della produzione nazionale e dell’occupazione.
Soluzioni temporanee come quelle a cui assistiamo oggi, come quella di prorogare il provvedimento di detrazione IRPEF con un’aliquota anche più alta, arrivando al 65 per cento, ma di sei mesi in sei mesi, non danno tempo al sistema produttivo – che, guardate, cari colleghi, è per gran parte costituito da aziende nazionali – di adeguarsi alla potenziale crescita della domanda, causando il peggiore degli effetti per chi voglia investire nella manifattura di queste tecnologie, ovvero la continua fermata, lo stop and go, del sistema produttivo e del mercato.
Mantenere le detrazioni fiscali per l’efficienza energetica e per il fotovoltaico in edilizia e per interventi per la sicurezza sismica è essenziale – alcuni passi avanti, abbiamo visto, sono stati fatti in questo senso nelle Commissioni –, ma dovrebbero, poi, essere anche estese al patrimonio edilizio pubblico e a quello per le imprese. E i vantaggi sopra citati non potrebbero che essere amplificati.
Stabilità degli interventi andrebbe anche operata in questo senso, con la sostituzione in pannelli fotovoltaici, così come in lavoro di bonifica più generale, che più volte abbiamo ricordato in quest’Aula, soprattutto, nel campo della bonifica dei manufatti contenenti amianto. Per chi come me, questa mattina, ha attraversato parte del nord Italia e ha visto gli effetti devastanti di una piccola tromba d’aria, può ben apprezzare quale sia la portata e l’entità, ancora oggi, di coperture di capannoni industriali, spesso dismessi, in cemento amianto e di come una banale tromba d’aria, per quanto di grande entità come quella di questa mattina, può generare un allarme diffuso e una dispersione di questi materiali in maniera incontrollata.
Le motivazioni per rendere stabile e ben monitorato l’ecobonus sono anche di natura contabile, economica, industriale e, come abbiamo detto, anche di natura ambientale.
Dal punto di vista del bilancio dello Stato, visto che il Ministero dell’economia e delle finanze sottolinea, sempre, la mancanza di una copertura finanziaria, va detto che lo sgravio fiscale per questi interventi può essere, anche, a costo praticamente nullo per le casse dell’erario. All’ammontare delle detrazioni annuali, cioè le mancate entrate per lo Stato, andrebbero considerate, in contropartita, le entrate immediatamente derivanti dall’IVA e le entrate fiscali dirette provenienti dalla vendita, dall’installazione e dai servizi attinenti a questi interventi. Per una corretta contabilizzazione, è poi necessario aggiungere che questa forma di incentivo permette l’emersione del lavoro nero con un ulteriore beneficio per il fisco e scongiura il rischio di cassa integrazione, che è sempre un peso a carico dello Stato e dunque dei contribuenti per quei settori tecnologici coinvolti, molto spesso aziende con un alto valore tecnologico, e per l’edilizia nel suo complesso.

Per correttezza e piena onestà intellettuale occorre analizzare questo provvedimento anche nei suoi aspetti meno positivi o, se vogliamo, negativi. In questi anni non sono mancati casi di speculazione sul valore degli impianti; tra produttori e fornitori si è diffusa l’abitudine a considerare le detrazioni come una autorizzazione all’aumento dei prezzi al pubblico, una pratica che, in concomitanza con l’esplosione della richiesta di tali impianti, ha fatto aumentare i prezzi anche in modo considerevole, penalizzando gli utenti finali e lo stesso erario.
Bisogna fare poi attenzione alle false sostituzioni ovvero alle nuove installazioni mascherate da false, cosa che a lungo si è dibattuto nelle Commissioni. Un incentivo deve essere sempre modulato secondo logiche che portano, nel tempo, a una riduzione graduale dei prezzi; sarebbe allora opportuno fissare periodicamente dei valori massimi o range di prezzi per singola tecnologia, degli standard oltre i quali la detrazione non viene riconosciuta. Ciò potrebbe facilitare il contenimento dei prezzi con benefici anche per l’erario. Tuttavia, per prendere tali accorgimenti serve una attenta valutazione dell’andamento del mercato, delle singole categorie merceologiche che vengono interessate dal provvedimento. Altra soluzione è prevedere, nel tempo, una graduale diminuzione dell’aliquota nel momento in cui questa vada a regime se stabilizzata.
Due elementi vanno comunque evitati: mettere un limite alle risorse e alle detrazioni fiscali, perché frena la domanda che dovrebbe agire senza limiti di tempo e di risorse, e rendere rigido il periodo di detrazione, oggi di dieci anni. Riguardo a quest’ultimo aspetto va considerato il momento storico in cui stiamo vivendo. La crisi economica non consente a nessuno di guardare lontano ma noi ne abbiamo l’obbligo, l’obbligo politico e l’obbligo morale. Dunque, per il consumatore a volte è meglio accettare uno sconto in queste condizioni, subito con un servizio cosiddetto «in nero» piuttosto che usufruire dell’opportunità della detrazione e quindi dell’emersione di questa spesa. Una soluzione di spalmatura del credito di imposta anche su un numero di anni più lungo, cinque o dieci anni, avrebbe un’efficacia molto maggiore, soprattutto per portare quei benefici di cui parlavamo prima. Rimane un aspetto che, per quanto noi consideriamo positivo nel suo complesso l’approccio e non la mancata stabilizzazione del provvedimento, dobbiamo rilevare ed è quello relativo al dibattito che si è consumato nelle Commissioni rispetto alle coperture. Ebbene, rispetto a queste coperture ci spiace che il Governo porti come vessillo il fatto di aver salvaguardato gli allegati ai libri scolastici, poca cosa rispetto ai danni e rispetto alle altre due voci di copertura ancora interessate da un aumento dell’IVA. Parleremo successivamente di quello che è la copertura rispetto ai gadget allegati all’editoria, vogliamo parlare, inaspettatamente di un sistema produttivo, quello del vending, della distribuzione automatica di alimenti e bevande, perché ci appare qualcosa di residuale, di marginale nel nostro Paese. Ebbene, faremmo un’azione assolutamente sbagliata a considerarla così, sbagliata e, soprattutto, non conscia di quello che è un settore produttivo tra i pochi che è in crescita nel nostro Paese, tra i pochi che vede un numero di addetti, se non in crescita, quanto meno non sofferente rispetto alla cassa integrazione, che ammonta a circa 30 mila addetti nel nostro Paese e, ancora più importante, è un settore produttivo che vede nell’arco europeo, il 25 per cento delle produzioni provenire da aziende italiane, soprattutto collocate nel nord-ovest, nella Lombardia e nel nord-est del nostro Paese. Aziende, piccole e medie imprese che vedono nell’export una delle maggiori fonti di sostegno e di entrate e che noi, in maniera totalmente insensata dal punto di vista economico, un provvedimento che avrebbe potuto essere anticiclico, andiamo a penalizzare. Qui andrebbe chiarito il senso della mancanza generale di un piano industriale o della conoscenza di un piano industriale del nostro Paese.Per quanto riguarda gli altri aspetti possiamo rilevare, rispetto alle rilevazioni che abbiano fatto in Commissione rispetto agli allegati e ai libri di testo scolastici, la totale arretratezza del provvedimento proposto dal Governo. Infatti, vengono salvati ad un’aliquota agevolata tutti quei supporti digitali e magnetici che un po’ appartengono all’archeologia della tecnologia e non viene fatto il passo avanti rispetto a quelli elettronici, ovvero i cosiddetti e-book, che dovrebbero – lo dicono tutti gli indicatori – sbarcare ed essere strumento, se non del futuro, del domani, e quindi di un futuro assolutamente prossimo.
Quindi, nell’andare ad individuare attraverso una copertura diversa e salvando quegli aspetti si fa un’azione, ancora una volta, che non guarda ad una prospettiva ampia, ma ci si limita a guardare all’odierno. Inoltre, rispetto alla mancata agevolazione sui gadget e sui materiali allegati all’editoria, il nostro parere non può che essere fortemente negativo, perché si deprime anche qui un settore produttivo in forte crisi, o in cronica crisi, e non si valorizzano i prodotti dell’ingegno, dell’intelletto o della fantasia, cosa che, sui giornali e sui quotidiani di oggi viene invece valorizzato, considerato e messo a PIL oltreoceano. Soprattutto, si penalizza una prossimità, quella determinata dalle edicole di piccoli centri e dei luoghi periferici, che rimanevano e rimangono molto spesso l’unico canale per la lettura o per la diffusione dei quotidiani e, quindi, con una forte sofferenza per quello che sarà il cosiddetto mercato delle edicole. Noi avevamo proposto soluzioni alternative ed eravamo pronti a valutare anche coperture alternative a queste, proprio perché ci sembravano assurde. Ne cito solo una, quella riferita all’innalzamento del Preu e, quindi, la messa a regime di entrate derivanti all’Erario dai montepremi dei giochi d’azzardo. Ora, occorre essere chiari e non ipocriti: non ci si può allarmare e considerare allarme sociale il gioco d’azzardo e poi, nel momento in cui questo può diventare, da una parte un’entrata, ma soprattutto una diminuzione del montepremi, che avrebbe un valore sociale di minore appetibilità nei confronti dei giocatori, stralciare questa ipotesi, che è stata anche supportata da altri gruppi. Quindi, nel complesso è un provvedimento che avrebbe potuto essere molto di più, che ci soddisfa nella parte relativa al recepimento e ai pochi caratteri innovativi, ma a cui riserviamo una voce critica nella mancanza della stabilizzazione e soprattutto nei confronti di quelle che sono le voci di copertura.

Leave a Comment


Protected by WP Anti Spam