DI CLAUDIA AUDI GRIVETTA
Onorevole Lavagno, ci può spiegare cosa è successo nella settimana antecedente all’elezione del Presidente della Repubblica? Quali erano gli accordi con il Pd?
Quello che è successo nella settimana antecedente si lega a quello che è successo nelle settimane successive. Abbiamo assistito ad un forte momento di crisi, economica, sociale, e con risvolti occupazionali. Oggi è una crisi culturale e con risvolti di carattere istituzionale. Nei momenti immediatamente successivi al voto ci sono stati attimi di spaesamento. Era chiaro che la coalizione Italia Bene Comune fosse l’unica con l’obiettivo di governare l’Italia. I primi risultati hanno scardinato questa convinzione. Abbiamo assistito a tre tipi di dichiarazioni: chi invocava il ritorno immediato al voto e chi si dimostrava favorevole al governo delle larghe intese. La terza dichiarazione è stata quella di Nichi Vendola, il quale ha suggerito a tutti di registrare questa necessità di cambiamento risultata dal voto.
E poi?
Quello che è successo nelle settimane successive è noto: il tentativo parossistico e talvolta un po’ grottesco di Bersani di porsi come leader da una parte, e dall’altra le richieste di Giorgio Napolitano, che ha posto condizioni molto precise. Ha imposto una scelta che non parlasse alle forze politiche ma al paese, che fosse segnale di cambiamento. Il “metodo” Grasso-Boldrini ne è l’esempio: si è trattato di una scelta che voleva comunicare all’esterno una volontà di cambiamento, in sintonia con quello che chiedeva il paese.
Il secondo giorno è stato quello che ha sancito un prima e un dopo, e si è giocato sul nome di Romano Prodi. Siamo arrivati al vero e proprio atto di killeraggio politico. Noi abbiamo deciso di segnalare il nostro voto con il nome. È stata una scelta forte, ma sentivamo nell’aria che ci fossero dei franchi tiratori e l’esigenza di esprimere nettamente il nostro voto come gruppo parlamentare. Questa vicenda ha certificato la morte della coalizione Italia Bene Comune perché lì è morta la prospettiva di cambiamento ed è risultato chiaro che il destino del governo fosse legato al nome del Presidente della Repubblica. Siamo ora di fronte ad un’ipotesi neogaullista: è possibile che l’Italia si trasformi in una repubblica presidenziale, come in Francia, dove ci sono state dinamiche molto simili. Penso che ci siano tutti gli elementi perché si vada in questa direzione. I tanti ricorsi alla fiducia sono già un forte segnale in tal senso.
A proposito di Francia, voi avete aderito all’iniziativa “Maintenant la Gauche” con i socialisti francesi. Cosa ci può dire di questo?
Abbiamo sottoscritto un appello largo che guardi a sinistra, a un altro modello di Europa, a politiche di welfare e di sviluppo e non solo di risanamento. In questo contesto anche Sel deve misurarsi su questa prospettiva e considero un elemento molto positivo la richiesta di adesione al partito socialista europeo. È una scelta ambiziosa, che non prevarica e non esclude le sensibilità presenti. È la scelta di stare nel campo dove è praticabile il cambiamento, non solo della società in termini economici ma soprattutto in termini ambientali e civili. È il luogo dove tutte queste politiche possono incontrarsi e trovare una cittadinanza comune. Una cosa molto interessante che ha affermato Hollande è che bisogna rivedere non solo la politica economica, ma anche l’architettura delle istituzioni europee, prendendo decisioni che non siano solo di natura tecnocratica, ma di natura politica, arrivando entro due anni ad un’Europa reale. È una scelta che guarda oltre e ad un contesto più ampio, un contesto che ci deve interessare.
Come definirebbe il vostro ruolo politico?
Il nostro ruolo è quello di incalzare il governo su questi temi. Non sono fra quelli che ritengono che questo governo sia illegittimo ed invito tutti a non dirlo. È un governo che può non piacere ma ha la sua piena legittimità. Il gioco della denigrazione delle istituzioni è un gioco pericoloso, soprattutto oggi che le istituzioni godono già di scarso rispetto fra i cittadini. Il parlamento oggi ha una grande sfida, quella di rilegittimarsi. Non è detto che le maggioranze siano monolitiche ed è qui che Sinistra Ecologia e Libertà può giocare il proprio ruolo, di un’opposizione assolutamente intelligente perché siamo all’interno di un parlamento variegato, fatto di molte istanze diverse e con maggioranze variabili. Noi dobbiamo sfidare ed alzare la posta sui diritti civili, che sono quegli elementi di sovrastruttura in cui è importante fare le nostre battaglie: come ad esempio sulla legge anticorruzione, sul reddito minimo garantito o sull’abolizione della spesa per gli F35. Questi sono tutti provvedimenti trasversali che ritengo possano avere una maggioranza diversa nel governo.
E il Movimento 5 Stelle? Ci sono diversi punti in cui i programmi convergono, ritiene possibile un avvicinamento a questa forza politica?
Bisogna distinguere fra un valore fondativo e un’istanza generica. Il Movimento 5 Stelle enuncia degli obiettivi e non si preoccupa di come perseguirli. Certo, alcuni punti sono condivisibili, come il reddito minimo garantito, che è una nostra battaglia da almeno 3 anni e oggi sembra essere un’invenzione di Grillo, o la questione degli F35. Ci chiedono spesso se vorremmo fare qualcosa col Movimento 5 Stelle, magari a livello locale. Il problema è che sono loro a non voler dialogare, come hanno ampiamente dimostrato durante l’elezione del Presidente della Repubblica. In quel momento avrebbero potuto effettivamente sparigliare il gioco. Io ho il timore e il dubbio che il Movimento 5 Stelle non voglia rivendicare un ruolo di cambiamento ma semplicemente un’attestazione di carattere elettorale.
Continuate così, bravi!