Intervista a cura di Alberto Mattioli (La Stampa), Sylvie Kauffmann (Le Monde), Angelique Chrisafis (The Guardian), Berna Gonzalez Harbour (El País), Jaroslaw Kurski (Gazeta Wyborcza) e Stefan Ulrich (Süddeutsche Zeitung)
In fondo al tunnel della crisi si comincia a vedere la luce. Tanto che forse, dopo l’euro, ci si potrà finalmente occupare dell’Europa. Alla vigilia dell’ennesimo vertice «decisivo» a Bruxelles, François Hollande spiega a sei quotidiani, per la prima volta, la sua visione e i suoi progetti per l’Europa. L’intervista si svolge in un salone dell’Eliseo. Il Presidente della Repubblica francese è rilassato, cordiale e di buon umore. E, soprattutto, molto chiaro.
Signor Presidente, l’Unione europea ha appena ottenuto il Nobel per la Pace, che dà a tutti una responsabilità in più. Come salverete l’euro e l’Europa?
«L’attribuzione del Nobel alla Ue è, insieme, un omaggio al passato e un appello per il futuro. L’omaggio è per i padri fondatori dell’Europa, capaci di fare la pace all’indomani di un massacro. L’appello è per i governanti dell’Europa di oggi, perché siano coscienti che uno scatto è indispensabile. Sull’uscita dalla crisi della zona euro, siamo vicini, molto vicini, perché abbiamo preso le decisioni giuste al vertice del 28 e 29 giugno e le applicheremo il più rapidamente possibile. Prima, regolando definitivamente la situazione della Grecia, che ha fatto tanti sforzi e che deve ormai essere sicura di restare nell’eurozona. Poi, rispondendo alle esigenze dei Paesi che hanno fatto le riforme attese e che devono potersi finanziare a tassi ragionevoli. Infine, realizzando l’unione bancaria. Voglio che queste questioni siano risolte da qui alla fine dell’anno. Allora potremo iniziare a cambiare i nostri sistemi di decisione e approfondire l’unione. Sarà il grande cantiere di inizio 2013».
Appunto: i Paesi che hanno fatto degli sforzi, con sacrifici pesanti per la popolazione, non vedono miglioramenti. Quanto tempo pensa possano resistere?
«Dalla mia elezione ho fatto in modo che l’Europa si dia come priorità la crescita, senza rimettere in discussione la serietà dei bilanci, resa indispensabile dalla crisi del debito pubblico. La mia convinzione è che, se non diamo un nuovo slancio all’economia europea, le misure di disciplina, peraltro auspicabili, non avranno dei risultati pratici. Il ritorno della crescita suppone che si muovano dei finanziamenti su scala europea, ed è il patto che abbiamo adottato in giugno, ma anche si migliori la nostra competitività e si coordinino le nostre politiche economiche. I Paesi che sono in attivo devono stimolare la loro domanda interna con un aumento dei salari e una riduzione delle tasse, è la miglior espressione della loro solidarietà. Nell’interesse di tutti, non è possibile infliggere una condanna a vita a Paesi che hanno già fatto dei sacrifici considerevoli. Oggi la recessione ci minaccia quanto il deficit!».
Come pensa di superare il fossato fra i partigiani dell’austerità e quelli della crescita?
«È compito della Francia realizzare questo compromesso, per cambiare di prospettiva. Due leve mi sembrano indispensabili. La prima è la fiducia. Prima usciremo dalla crisi della zona euro e prima gli investitori torneranno. Disponiamo di tutti i mezzi per agire: Meccanismo europeo di stabilità, regole d’intervento della Banca centrale europea. Allora usiamoli. La seconda leva è dare coerenza alla politica economica europea. Abbiamo definito un patto per la crescita, facciamolo partire. Ci sono 120 miliardi di euro. Alcuni diranno: è troppo poco. Ma ciò che conta è che siano spesi presto e bene. Il budget europeo è anche uno strumento per stimolare l’economia, in particolare attraverso i fondi strutturali. Propongo di fare di più, mobilitando delle risorse supplementari. La tassa sulle transazioni finanziarie sarà l’oggetto di una cooperazione rinforzata. Undici Paesi si sono detti d’accordo. Auspico che il suo gettito sia destinato per una parte a dei progetti di investimento e per un’altra a un fondo di formazione per i giovani. È compito della Francia convincere i nostri partner che l’austerità non è una fatalità».