In queste ore il nostro territorio esplode in tutta la sua fragilità. Al di là dell’eccezionalità delle piogge, il maltempo ancora una volta ci coglie impreparati. Il riferimento non è alla Protezione Civile che in Piemonte, soprattutto nelle sue articolazioni territoriali, più volte ha dimostrato di essere all’altezza dei fatti.
“Come insegna la cultura ambientalista questa maggior fragilità è attribuibile ad un uso del suolo e delle acque che troppo spesso continua a non considerare le limitazioni imposte da un rigoroso assetto idrogeologico. – affermano Fabio Lavagno e Vanda Bonardo – In altre parole , oggi, nonostante la sequenza di disastri degli ultimi anni, il governo del territorio permane ancorato a vecchie logiche di opportunismo che ne impediscono una reale messa in sicurezza.”
Un nuovo modo di far politica comporta anche il coraggio di dire le cose come stanno, affermando scelte in discordanza con banalità quotidiane, frutto di consolidati interessi di potere. Senza timori va denunciata e bloccata la dissennata cementificazione subita dal nostro territorio, in quanto prima grande causa di tutti i disastri.
Gli effetti dell’urbanizzazione sono del tutto evidenti. L’impermeabilizzazione del suolo aumenta i volumi d’acqua che defluiscono negli alvei in tempi troppo brevi, accrescendo così in modo spropositato la portata. Permane costante l’occupazione urbanistica di tutte quelle aree golenali dove il fiume in caso di piena può “allargarsi”, si continua a concedere permessi in aree soggette a frane. Lo sprofondamento degli alvei, in seguito ad anni di dissennati prelievi di materiale, favorisce l’aumento delle portate e quindi le alluvioni a valle. Le zone a rischio passivo (alluvione o frane), una volta individuate, dovrebbero essere messe in sicurezza. E’ comunque assurdo pensare di mettere in sicurezza aree a rischio, per poi subito dopo renderle edificabili.
Un altro criterio fondamentale per stabilire una situazione di minor rischio possibile riguarda un “rallentamento generico dei deflussi” ovvero “trattenere l’acqua il più possibile dove cade”. La copertura vegetale dà un contributo consistente al contenimento della precipitazione e al rallentamento dei deflussi.
In sintesi occorre aver il coraggio di riconoscere i problemi per poi pianificare il territorio con convincimento e determinazione, ben sapendo che tutto ciò comporterà uno scontro con vecchie logiche di potere e consolidati interessi, oltre che con stereotipi e vecchie ignoranze. Si tratta di declinare “ l’uso del suolo come difesa”, una vera e propria nuova filosofia di gestione pianificatoria del rischio.
Il concetto di manutenzione deve essere attuato con rigore e razionalità incentivando le tre funzioni idrologica, geomorfologica e pedologica del suolo agricolo e forestale e del reticolo idrografico, dalla montagna alle spiagge.
La funzione idrologica riguarda la formazione e propagazione delle piene e dei fenomeni di ruscellamento intenso e richiede la manutenzione e il ripristino degli alvei (riapertura delle aree di esondazione) e dei versanti (copertura vegetale) per controllare la risposta del terreno alle piogge intense, l’infiltrazione e il deflusso superficiale.
La funzione geomorfologica riguarda l’instabilità e la formazione di frane. Per questa è necessario il mantenimento e il miglioramento delle arre di divagazione dei fiumi oltre ad una adeguata copertura vegetale.
La funzione pedologica consiste nell’assicurarsi che il ripristino della copertura vegetale avvenga con essenze e pratiche (anche produttive ) adeguate.
“Questa è l’unica ricetta possibile per dare speranza a tanti territori e innescare processi virtuosi di intervento da parte dei cittadini e di nuove attività portatrici di posti di lavoro. – dichiarano Fabio Lavagno e Vanda Bonardo – Per questi aspetti fondamentali della messa in sicurezza si dovrebbe investire a partire da quel miliardo stanziato con la finanziaria 2010, ma che tuttora non è disponibile , come ci ha dato ad intendere il Ministro Prestigiacomo nei giorni scorsi.
Un Paese alla costante ricerca di modelli per far ripartire un proprio sviluppo economico e alla continua rincorsa di tamponare emergenze come quella che stiamo vivendo in queste ore dovrebbe fare della messa in sicurezza del territorio la propria priorità. Non é vero che la salvaguardia dell’ambiente non muova economia, forse non muove gli interessi tradizionali, ma certo incontrerebbe quelli dei cittadini. Si tratterebbe forse dell’unica grande opera realmente necessaria”