Cari compagni, ci vuole il coraggio di ricominciare tutto daccapo

14 years ago by in Articoli, Qua e là - consigli di lettura

di Fabio Mussi

Cari compagni e amici, dopo il biennio 2008-2010, dopo le elezioni politiche, amministrative, europee e regionali, se le cose restano così fino al prossimo voto del (forse) 2013 , se non si muove qualcosa nel nostro campo, il trionfo della destra è assicurato, e si sarà infine realizzato il disegno di un’Italia divisa, un’Italia clericale e xenofoba, populista e mafiosa, vandeana e cesarista. Una perfetta società classista, dove i cittadini saranno sottoposti alla legge, i potenti e i governanti no; dove sempre più i poveri pagheranno le tasse e i ricchi no; dove avranno un futuro certo solo i figli delle caste. Dove il lavoro sarà la merce più vile. Così si saranno gettate al vento conquiste centenarie e l’opera delle generazioni antifasciste che hanno edificato la Repubblica democratica. Credo che avvertiamo tutti la responsabilità di fermare la valanga.

Ciò obbliga prima di tutto a riflettere sugli errori e a correggerli. Rapidamente, perché il tempo stringe. Poco più di due anni fa – due anni fa! – il centrosinistra aveva il governo nazionale (sia pure con un soffio di maggioranza parlamentare), amministrava tre quarti dei Comuni e delle Provincie, governava quattordici Regioni su venti. Tutto rovesciato. Che cosa è successo? E’ cambiata radicalmente la formazione economico-sociale, si sono sovvertiti d’un colpo gli assetti dell’intera Nazione? Nel lampo di pochi mesi? Seguo il dibattito post-voto, animato da qualche riflessione interessante (come quelle di Nadia Urbinati e di Alfredo Reichlin apparse sull’Unità), ma agitato da umori angosciosissimi: “giovani” contro “vecchi”, neoeletti regionali contro i “fighetti” di Roma, auspicatori di “leghe di sinistra”, importanti amministratori locali che si danno reciprocamente del “vile” e del “carrierista”, precedenti stati maggiori, già destituiti per la responsabilità di precedenti sconfitte, che mettono sotto accusa i successori per le sconfitte successive…

Per favore. Per favore. Ci devono pur essere più profonde radici del problema, e soluzioni più alte. Pongo un quesito: qual è stata in questi anni, a sinistra e nel centrosinistra, la novità? La novità è stata la nascita del Partito democratico. Lo riconosco, poteva essere suggestiva l’idea di una fusione della cultura di matrice socialista con quella di matrice cattolico-democratica. Non voglio ora disputare su quanto fosse restato vivo dell’una e dell’altra, in questo primo decennio del nuovo secolo. Ma è certo che la fusione non ha funzionato. Il tentativo è fallito – di questo si tratta. E il fallimento del progetto del Partito democratico ha portato tutto il centrosinistra, tutto il campo democratico e di sinistra in un vicolo cieco.

Berlusconi e la Lega hanno dilagato, e, con una opposizione debole e un’alternativa allo stato dei fatti improbabile, si muovono adesso rapidi e risoluti. Il punto, cari amici e compagni, è che non uno dei presupposti su cui doveva reggersi il progetto del Pd si è realizzato. Non il bipartitismo (com’è ovvio, dato che non è cosa da Europa, ma la misura è clamorosa: con l’ultimo voto Pd più Pdl conquistano la metà dei votanti e un terzo degli elettori). Non la “vocazione maggioritaria” (magari la vocazione c’era, ma il Pd poi non ha preso i voti). Ma al fondo c’è altro e di più. Non era vero che in Europa il socialismo, che pure attraversa una innegabile crisi, è un cane morto. Non è vero che basta mettersi sotto le bandiere del Nuovo e del Moderno per entrare nel futuro. Non è vero che la sinistra deve scolorare fino all’insignificanza intellettuale, e andare al centro, se vuole governare, secondo quell’idea di Left of Center che fu di Blair (e che ho visto con sorpresa radicalmente contestata, ora, da Massimo D’Alema in una conferenza alla London school of economics).

Non è vero, come ci spalanca di fronte agli occhi la crisi globale del capitalismo finanziario predatorio della nostra età, che il mercato si autoregola, e che dunque il conflitto sociale è roba dell’Ottocento. Aggiungo che si pone in termini assolutamente inediti la stessa “questione cattolica”, causa la deriva anticonciliare della Chiesa che l’attuale Papa, Joseph Ratzinger, reazionario e neotridentino, sta portando alle estreme conseguenze. Alle ultime elezioni la Lega si rafforza più di chiunque altro (particolarmente in Veneto e nelle regioni rosse). Il Pdl perde voti, e tuttavia la coppia vincente risulta esattamente la Berlusconi-Bossi. Perché? Perché dunque non si è aperta una crisi del berlusconismo, con tutto quello che si è visto e sentito, di Berlusconi e della sua corte, in questi mesi, e le prepotenze, e l’informazione imbavagliata, e gli abusi del potere, e la crisi economica, le famiglie che stentano e il lavoro che manca, e il massacro delle nuove generazioni…

Ma semplicemente perché, com’è noto, la rappresentazione della realtà resta sempre per un certo tempo più forte della realtà medesima, e idee, pregiudizi, ideologie , miti diventano, una volta costruiti – e Dio sa se, anche grazie a noi, l’uomo non ne ha i mezzi materiali! – tenacissime persistenze. Il Senso Comune è sempre la prima potenza politica. E, soprattutto nella società dell’informazione, i bassi profili, le mezze parole, le posizioni “moderate” diventano invisibili. Partiti e movimenti che non riescono più a creare senso comune, sono finiti. A sinistra, una debole cultura critica, un malinteso senso della moderazione e del “centrismo” programmatico, ha prodotto una politica debole. Il paradosso è che in Italia l’opposizione è ragionevolmente “riformista”, mentre la destra di governo si autodetermina come fieramente “rivoluzionaria”.

Alla fine, la politica si parla nella lingua della destra, padrona delle parole e dell’agenda pubblica. Sua è persino la potenza dell’antonomasia. Se si dice “riforme”, tutti, ma proprio tutti, per antonomasia fanno correre ormai il pensiero ad un solo elenco: Costituzione, istituzioni, giustizia, presidenzialismo, federalismo, intercettazioni etc. Eppure mai come oggi si è posta l’esigenza di una – questa sì – Grande Riforma del sistema globale (lavoro, finanza, mercati, ambiente, con quel che segue in termini di diritti, giustizia e libertà umana), di portata più grande di quella che, tra gli anni Trenta e il dopoguerra, portò al “compromesso socialdemocratico” e allo Stato sociale. Bisogna proprio aspettare Guido Rossi (in una intervista titolata da Repubblica: “Il capitalismo resta malato, nuove regole o sarà la fine”), per avere accesso al dibattito americano e sentir per esempio citato Richard Posner, il quale nel suo “La crisi della democrazia capitalista” sostiene che l’attuale crisi economica sta diventando crisi della democrazia? E’ proprio impossibile cambiare agenda? O imporre, nella società prima ancora che nelle istituzioni, temi che soli costituiscono la ragion d’essere di una sinistra e di un centrosinistra?

Cari amici e compagni, non bisogna forse allora tornare ai fondamenti? Una strategia di sopravvivenza porta alla sicura disfatta. Occorre reagire. E ci vuole coraggio. Personalità adulte, se si accorgono di aver fatto passi sbagliati, tornano sui loro passi, o cambiano strada. Passi sbagliati, sul piano politico e su quello culturale, ne abbiamo fatti. Dunque? In Ungheria, i costumi tradizionali prevedono camicie con lunghissime file di bottoni. C’è un detto: “Se, abbottonando l’ultimo bottone, ti accorgi di avere sbagliato il primo, c’è una sola cosa da fare: sbottonare tutto, e ricominciare da capo”. Forse la sinistra e il centrosinistra devono provare a ricominciare proprio da lì, dal primo bottone nell’asola sbagliata. Tutto sommato, parliamo di scelte e assetti piuttosto recenti, e non dovrebbe essere un’impresa impossibile ripensarli, per curare la malattia mortale del Paese: l’assenza di una alternativa. Cari compagni e amici del Partito democratico, proviamo a riformulare il progetto. Idee, assetti, struttura del nostro campo. Bisogna desiderare molto per ottenere qualcosa. Desiderare per il nostro Paese, naturalmente, e non per noi stessi.

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