Il programma regionale di Sinistra Ecologia Libertà

14 years ago by in Archivi, Articoli, SEL: c'è un'Italia migliore

SINISTRA ECOLOGIA E LIBERTA’

PROGRAMMA ELETTORALE REGIONALI 2010

Quattro capisaldi per un  progetto politico di SEL in Piemonte

I punti che seguono costituiscono i nuclei fondanti delle nostre azioni politiche per i prossimi 5 anni di governo del Piemonte.

La scelta dei capitoli deriva dalla nostra convinzione nel porre l’etica della politica al primo posto.

La “questione morale” è la nostra cornice dell’agire. Azione che ha al primo punto il contrasto della crisi.

L’attuale crisi economica va vissuta come una sfida per costruire un nuovo modello di sviluppo dove l’ambiente e il lavoro (superata la contraddizione del secolo scorso) possono coniugarsi, divenendo l’uno il rinforzo dell’altro.

Il superamento della crisi deva lasciare una società piemontese pronta per le sfide future. Si tratta di operare per la realizzazione di un nuovo contesto socio-economico che assuma la conoscenza e la qualità socioculturale dei territori come protagonisti di un nuovo ben-essere per tutti e tutte. Dove possano essere assicurati tutti i diritti di cittadinanza a partire dal diritto alla salute.

Un bene essere che passa necessariamente attraverso la gestione dei beni comuni. Il tema dei beni comuni come: aria, acqua, suolo,territorio, biodiversità e paesaggio è sviluppato attraverso percorsi di pianificazione, con  un uso vincolato da corrette valutazioni costi/benefici non solo economici ma anche sociali e ambientali.

  1. ETICA DELLA POLITICA

La politica è affermazione di valori. Nell’attuale quadro di decadimento della vita pubblica occorre riaffermare il senso pieno delle istituzioni e della democrazia. E’ necessario riportare al centro dell’idea di politica l’interesse comune, collettivo; la capacità di fare sintesi (e non mediazione) tra gli interessi legittimi dei gruppi sociali.

La trasparenza nella gestione del pubblico, degli appalti e delle nomine è l’elemento discriminante di una politica in difesa dei cittadini e della Costituzione

  1. USCIRE DALLA CRISI

Riconversione ecologica dell’economia, innovazione,efficienza energetica, mobilità sostenibile, produzione di informazioni e conoscenze, applicazione di nuove tecnologie, servizi alla persona, insieme alla conservazione e valorizzazione dei beni ambientali e culturali del Piemonte, sono gli ambiti in cui bisogna lavorare per uscire dalla crisi e progettare il futuro del Piemonte. Per affrontare i processi di riconversione produttiva occorre che si consolidi una pratica di sostegno al reddito (CIG in deroga e altre forme di ammortizzatori sociali) come necessità per salvare una generazione di lavoratori e le loro professionalità.

  1. PIANIFICAZIONE DEI BISOGNI DEL TERRITORIO

Per  porre fine allo spreco del territorio, tutelare il paesaggio, offrire una mobilità sostenibile e confortevole, ridurre i rischi di frane e alluvioni è necessaria una pianificazione che restituisca il giusto equilibrio tra attività, bisogni e funzioni sull’intero territorio. Una pianificazione che prenda innanzitutto in considerazione i problemi, consenta di affrontare le priorità prefigurando differenti scenari di soluzione  e verifichi la bontà dei risultati raggiunti.

  1. SICUREZZA E QUALITA’ DELLA VITA

Vogliamo realizzare un nuovo modello di vita dove alla quantità e allo spreco si sostituisca la qualità come sinonimo di ben-essere. Dove la salute continui ad essere un diritto fondamentale e un bene collettivo. Dove la cultura non sia solo produzione di libri, di spettacoli, di siti internet ma anche abitudini e stili di vita oltre che il modo con cui le persone entrano in contatto tra di loro e costruiscono il senso di una comunità.

Nel nostro modello che pone al centro la realizzazione della persona, gli spazi pubblici della comunità devono potere essere vissuti in libertà senza le preclusioni imposte da chi ha scelto la sopraffazione, il sopruso, la criminalità a scapito della libera socializzazione e della convivenza.

  1. Etica della politica

La storia di questi ultimi decenni ha dimostrato come nessun aspetto della vita politica, economica e  sociale del nostro paese sia stato risparmiato da un vero e proprio assalto compiuto da personaggi che si muovono circondati da interessati silenzi e vere e proprie connivenze nel mondo della politica e dell’amministrazione pubblica, in  quello della finanza e in quello delle imprese.

Appalti di grandi opere edilizie e ciclo dei rifiuti si affiancano ai tradizionali campi di interesse  della malavita organizzata e, i recenti fatti di Rosarno hanno finalmente messo sotto gli occhi di tutti come il mercato dell’immigrazione e lo sfruttamento degli immigrati siano diventati un businnes del malavita e del contesto sociale in cui si muovono le mafie.

Non servono le affermazioni scontate e banali; bisogna definire elementi giuridico normativi che consentano un intervento tempestivo e risolutivo di contrasto alle mafie vecchie e nuove.

Comportamenti e scelte etiche che sono credibili se iniziano a trovare applicazione nella vita interna delle formazioni politiche e nell’individuazione delle persone chiamate a rappresentare partiti e movimenti all’interno delle assemblee elettive, negli esecutivi o in ogni incarico che sia di nomina pubblica.

Da queste premesse si muove, in coerenza con l’appello promosso da Libera, la decisione di SEL di non accettare candidature di persone inquisite, né tanto meno condannate per reati contro la pubblica amministrazione, contro il patrimonio o contro le persone o la loro dignità.

  • Trasparenza

Elemento fondamentale nella lotta contro i sistemi corruttivi, contro gli atteggiamenti illegali e contro le decisioni illegittime, è quello della trasparenza degli atti amministrativi.

Formalmente esiste già un sistema legislativo che dovrebbe consentire la massima trasparenza degli atti ma una sua gestione burocratica, tesa più alla autotutela dei soggetti da controllare che come servizio per i soggetti che dovrebbero controllare, la rende parzialmente inutile o tale da poter essere esercitata a fatti avvenuti.

Per altro le tante deroghe previste (dalla normativa relativa alle grandi opere di interesse strategico a quelle relative alla gestione delle emergenze più o meno vere) hanno ridotto ulteriormente il campo di intervento della normativa.

Perché, dove si concentra una scelta amministrativa, con quali finanziamenti, chi la realizza, sono gli elementi fondamentali che la pubblica amministrazione, anche attraverso le società che si è data con le esternalizzazioni, deve fornire in modo chiaro, omogeneo e automatico, al fine di poter garantire un controllo costante da parte dei cittadini su quanto viene deciso in nome e per loro conto.

Questa funzione deve tornare ad essere esercizio primario e vitale per le assemblee elettive di ogni ordine e grado, in molti casi chiamate oggi alla mera ratifica di decisioni assunte dagli esecutivi.

  • Il rapporto con le lobby

Uno dei fenomeni degenerativi della politica è rappresentato dal rapporto sempre più stretto tra ceto politico e lobby di riferimento. I costi della politica spingono a cercare finanziamenti tra i gruppi di interesse che inevitabilmente presentano il conto dopo le elezioni. Si crea così una dipendenza inaccettabile tra gli eletti e gruppi di potere economico o gruppi di interesse che inevitabilmente condizionano dall’esterno i rapporti dentro la classe dirigente dei partiti e dentro i partiti, spesso anche in contrasto con i manifesti politici dei partiti stessi.

E’ necessario riportare al centro dell’idea di politica l’interesse comune, collettivo; la capacità di fare sintesi (e non mediazione) tra gli interessi legittimi dei gruppi sociali. La politica deve avere settori sociali di riferimento ma deve fare a meno del rapporto clientelare.

Per questo gli eletti di Sinistra Ecologia e Libertà dichiarano la provenienza dei propri finanziamenti per le spese elettorali.

Per questo gli eletti di Sinistra Ecologia e Libertà dichiarano che non accetteranno, nell’esercizio delle proprie funzioni, pressioni da parte di interessi particolari che non abbiano reali basi collettive.

Per questo gli eletti di Sinistra Ecologia e Libertà dichiarano di ispirare la propria azione politica e amministrativa esclusivamente al bene comune.

  • Laicità

L’azione politica deve mantenere autonomia decisionale assoluta rispetto ad ogni condizionamento ideologico o religioso. La libertà di credo va tutelata così come è necessario che sia mantenuta l’autonomia delle istituzioni. Queste parti devono potersi confrontare e dialogare pur mantenendo ben distinti i propri ruoli e i propri doveri rispetto ai cittadini.

E’ compito fondante della Regione la promozione di una cultura della tolleranza, del rispetto dell’autonomia, della libertà e della responsabilità individuali, nonché della distinzione tra sfera pubblica e privata.

La politica deve garantire libertà e diritti per ciascuno e per tutti gli individui ed i gruppi sociali, contrastando interferenze reciproche lesive.

In una società civile sempre più multiculturale è indispensabile che le religioni più forti non compromettano o influenzino l’autonomia istituzionale e che nessuno si senta leso o discriminato dal credo altrui.

  • Lotta alle mafie e trasparenza nella gestione delle opere

Occorre istituire un’anagrafe delle imprese che operano negli appalti consessi dalla pubblica amministrazione perché sia immediatamente verificabile dove operano, con quali sistemi di affidamento, con quali importi, con quali contenziosi aperti, da chi è formato il capitale sociale.

Identica anagrafe deve essere istituita per quanto riguarda le direzioni dei lavori e i responsabili della sicurezza (siano essi persone fisiche o persone giuridiche) ponendo dei limiti massimi di incarichi assumibili simultaneamente.

In questo campo occorre richiedere alle associazioni imprenditoriali la stessa rigorosa intransigenza che si richiede ai pubblici amministratori con l’esclusione della rappresentanza a quelle imprese che dovessero risultare coinvolte in fatti di corruttela ( ad ogni amministratore concusso o corrotto corrisponde sempre un concussore o corruttore).

  • Funzioni dirigenziali nella pubblica amministrazione

La separazione tra il potere di indirizzo destinato alla politica e la gestione delle scelte, destinato alla parte amministrativa viene spesso vanificato. Ci sono dirigenti che fanno scelte politiche e assessori che preferiscono non interferire, si tratta di vere zone d’ombra dove finiscono per passare scelte anche contrarie agli indirizzi politici votati dai cittadini.

E’ quindi necessario definire procedure di valutazione della dirigenza pubblica nelle quali l’esercizio della discrezionalità sia precluso, tranne i casi in cui si tratti di figure fiduciarie (tecnici e consulenti di nomina assessorile, nel qual caso devono essere esclusi da ogni possibile intervento nel campo della assegnazione di lavori o incarichi professionali).

  • Costi della politica

Pur consapevole che in termini assoluti i costi diretti della politica sono ben poca cosa rispetto agli sperperi determinati da un modo non trasparente di svolgere le funzioni pubbliche, SEL non si sottrae a questo delicato aspetto che deve coniugare la messa a disposizione di risorse adeguate a svolgere serenamente il compito a cui si è chiamati o eletti con un rapporto diretto e congruo con l’economia reale.

Sappiamo anche che la qualità della politica passa anche attraverso un riconoscimento economico che premi la produttività e l’esclusivo asservimento al bene comune.

In questo quadro SEL ritiene fattibile una sensibile riduzione delle retribuzioni oltre che dei parlamentari anche dei consiglieri regionali esprimendo invece la più totale opposizione ad intervenire nei confronti degli eletti nelle province e nei comuni (soprattutto quelli con meno di 15.000 abitanti).

  1. Uscire dalla crisi progettando il futuro

Le tendenza strutturali di questi ultimi decenni hanno modificato fortemente  le potenzialità e le modalità dello sviluppo della nostra regione. Sono completamente nuove le condizioni che riguardano la finanza, il lavoro, la globalizzazione dei mercati.

La crisi che ha colpito la finanza e i mercati finanziari ha messo in luce quanto il capitalismo abbia portato l’economia reale a dipendere dalla pura speculazione.

Ha messo in luce, ancora una volta, l’inadeguatezza del liberismo economico ad affrontare il futuro del mondo e i complessi intrecci tra gli interessi degli individui e quelli collettivi. Nella distorsione dell’idea di affermazione individuale a scapito del progresso collettivo, nell’idea della vita come di una continua gara contro gli altri, c’è il germe della dipendenza della produzione, dell’economia che genera beni, servizi e lavoro, dagli interessi di pochi speculatori finanziari.

Ma questa consapevolezza può trasformarsi in un’ opportunità di rinnovamento dell’economia e della società.

Pensare a un’uscita dalla crisi che metta al centro, appunto, l’economia produttiva e lo sviluppo sociale, il recupero di naturalità e di efficienza ambientale, è la base della nostra azione politica.

Le potenzialità offerte oggi  dalla tecnologia ci permettono di ripensare il Piemonte, modificando quella visione che da sempre ha visto primeggiare Torino sul resto della regione. Oggi è concretamente possibile realizzare un Piemonte policentrico più equo nella distribuzione di potenzialità di sviluppo .

Occorre quindi ripensare al modello economico del Piemonte investendo in una programmazione che sostenga il sistema manifatturiero esistente e ponga le basi per un suo ampliamento. In questo senso occorre riprendere l’impostazione della proposta di legge regionale presentata dai gruppi della sinistra nella attuale legislatura relativa alla delocalizzazione delle imprese.

Ovviamente un consolidamento ed ampliamento che si misuri con quei settori che hanno ormai raggiunto un punto di maturità dei mercati e che, come per il settore dell’auto tradizionale, rischiano di essere vivi e competitivi solo attraverso consistenti finanziamenti pubblici erogati in modo diretto o indiretto. Il flusso di denaro dal pubblico al privato in questo settore ha ormai una caratteristica quasi strutturale e, nella migliore delle ipotesi, consente un mantenimento molto precario dei livelli occupazionali liberando risorse per le imprese che si lanciano in ampliamenti a livello mondiale che riducono ulteriormente le capacità produttive nazionali.

Sulla scia di quanto avviato nei ultimi cinque anni di governo regionale occorre mettere in campo progetti praticabili, innovativi e decentrati. La qualità e l’innovazione ambientale sono la chiave con cui guardare alle politiche antirecessive per accelerare la modernizzazione del Piemonte Per fare ciò occorre un approccio molto selettivo delle priorità di intervento, scartando l’idea che basti una iniezione di risorse pubbliche nei settori tradizionali in crisi.

Riteniamo quindi necessario ripensare agli obbiettivi e alle strategie di politica industriale che selezionino ed incentivino le attività produttive nei campi delle nuove tecnologie (siano esse legate alla energia, alla automazione, alla ricerca di materiali ecc.) in un contesto di stretto rapporto con il territorio. Territorio inteso come ambiente, come persone, come strutture esistenti.

Una politica industriale che voglia programmare uno sviluppo economico e non limitarsi a gestirne gli effetti deve pensare ad un’infrastrutturazione del territorio che non si limiti a rispondere a disordinate e, contrastanti, richieste, quasi sempre di operatori economici interessati alla loro realizzazione. Ma che sia capace di delineare le priorità che per noi sono: poli di sviluppo, modalità di trasporto, conservazione o uso dei suoli.

La produzione di informazione e la successiva elaborazione e diffusione, l’Information communication technology, insieme alla “creatività”, in altre parole “l’informazione” sia fine a sé stessa (dallo spettacolo alla cultura accademica) sia strumentale (per l’industria, per altri servizi) è uno dei settori più importanti per il futuro del Piemonte .

La capacità di gestire le “materie prime” dell’economia della conoscenza dipende molto dal contesto socioculturale in cui siamo immersi e dal sistema formativo che siamo in grado di darci. Da qui discende il ruolo fondamentale dell’istruzione, della formazione professionale e dell’Università. La completa applicazione del Titolo V della Costituzione consentirà alla Regione, nell’ambito dei principi fondamentali dettati dalle leggi statali, di avere competenza nella gestione e distribuzione del servizio scolastico e nell’individuazione e valutazione degli obiettivi formativi più aderenti allo sviluppo del territorio. A  partire dalla  consapevolezza del nuovo ruolo della Regione occorre  rafforzare tutte le politiche regionali volte al sostegno del sistema educativo regionale. Una società colta è una società capace di futuro. La cultura e il sapere diffuso sono un bene prezioso:sono l’indice della democrazia del paese e al contempo costituiscono il presupposto indispensabile per un nuovo modello di sviluppo più solido e più equo.

La Regione può avere un ruolo di grande rilievo per ridurre le disuguaglianze del sistema scolastico, che attualmente sono accentuate dalla dissennata politica del governo di centrodestra. Ben sapendo che  la sinistra non ha mai avuto il problema di sostituirsi allo Stato, ma è favorevole ad una politica di integrazione/interazione fra Stato, Regioni ed Enti locali. Una politica che richiede investimenti notevoli per ridurre la forbice fra ricchi e poveri: coloro che il sistema di istruzione lascia indietro appartengono quasi sempre ai gruppi sociali più disagiati, c’è un rapporto diretto fra il successo formativo e il titolo di studio dei genitori.

A tutela dei talenti e della creatività piemontese sarebbe di sicura utilità l’istituzione diun fondo a sostegno della registrazione di brevetti in ambito europeo e internazionale, spesso troppo onerosa sia per un privato che per una piccola impresa.

  • Un Piemonte policentrico

I processi economico-sociali, che, dentro i processi più generali della globalizzazione si sono determinati nella nostra regione, rendono ancora più evidente la necessità di superare una visione Torino-centrica del Piemonte. Questa, maturata su questioni oggettive (il peso economico, occupazionale, industriale della FIAT; metà della popolazione regionale che gravita su Torino), alcune delle quali venute meno, rischia oggi di non cogliere aspetti e indirizzi nuovi e di determinare politiche che non intravvedono potenzialità importanti, non per territori marginali, ma per l’intera regione.

Ad esempio occorre affrontare le questioni del nord est piemontese governando e qualificando il rapporto con l’area metropolitana lombarda, importante per l’intero Piemonte e nel suo rapporto con l’Europa, per non subirne unicamente le ricadute più negative (attività a scarsissimo contenuto tecnologico e professionale, spreco di territorio, ecc…).

Lo stesso vale per lo sviluppo dell’alessandrino e della valle Scrivia in rapporto alle vocazioni economiche di Genova.

L’individuazione fatta dal piano strategico regionale dei quadranti è un’idea importante che va perseguita con forza e concretamente sostantivata: terreni decisivi sono quelli della mobilità di persone e merci e quelli della affermazione e qualificazione dei poli di innovazione

  • Lavoro

In una situazione di già grave difficoltà economica e di ineguale redistribuzione della ricchezza gli effetti della crisi si amplificano e rischiano di determinare in un arco di tempo relativamente breve fenomeni di involuzione sociale e di tenuta dello stesso tessuto democratico. Le politiche del lavoro, relativamente agli indirizzi generali e agli investimenti economici, focalizzino la loro attenzione su tre aspetti tra loro intrecciati.

1) LA PRECARIETA’. Se tra la metà degli anni novanta e i primi anni di questo secolo la precarietà riguardava in modo prioritario la qualità e quantità dei contratti di assunzione, nelle varie forme che si sono susseguite (contratti a termine, lavoro interinale ecc.) oggi anche il lavoro a tempo indeterminato vive una precarietà giornaliera, solo in parte legata alle avverse condizioni economiche. La permanenza in un posto di lavoro può essere messa in discussione da scelte che non attengono a scelte di tipo produttivo ma rispondono a logiche finanziarie, se non come nel caso della FIAT alle politiche di redistribuzione dei mercati internazionali, colpendo indiscriminatamente giovani e non più giovani.

2) IL SALARIO. Per molti lavoratori dipendenti è reale il rischio di entrare pesantemente nelle fasce di povertà avendo ormai raggiunto una contrazione dei consumi che intacca le stesse spese legate alla dignitosa sopravvivenza.

3) L’OCCUPAZIONE. Da tempo il lavoro ha progressivamente perso la connotazione di elemento fondante il diritto di cittadinanza nel nostro paese. Modelli culturali ed economici hanno emarginato il lavoro a pura variabile economico-finanziaria del “sistema Italia”, privando il lavoro di dignità sociale e di rappresentanza politica. Lo stesso insorgere della cosiddetta “società civile” in contrapposizione alla “politica politicante” ha accuratamente evitato di considerare il mondo del lavoro e gli esseri umani lavoratori come sua parte costituente. Si parla di lavoro e di lavoratori ma si escludono gli stessi dalla partecipazione attiva alla vita sociale e politica della comunità in cui vivono e operano.

  • Politiche del welfare

Occorre quindi ripensare ad una strategia complessiva degli interventi che sposti il beneficiario dall’ imprenditore al lavoratore (se vogliamo usare un termine marxiano dal profitto al salario) e che, nei casi di supporto alle condizioni di disoccupazione senza ammortizzatori immediati, renda tempestivamente fruibile il contributo.

Occorre definire un sistema di welfare regionale che sia capillare nelle sue prestazioni, congruamente finanziato ed esigibile da tutti i cittadini, superando la fase della contrattazione da aprire di volta in volta, legata ai rapporti di forza e all’uso talvolta improprio degli strumenti sociali.

  • Politiche attive del lavoro

Consideriamo come prioritaria la rete dei centri per l’impiego pubblici, strumenti per demercificare il mercato del lavoro, renderlo meno oneroso per il sistema delle imprese, garantire effettivi percorsi di qualificazione e riqualificazione dei lavoratori, presidio contro l’aumento del lavoro nero o non in regola.

Con la rete dei centri per l’impiego deve prioritariamente rapportarsi il sistema della formazione professionale che, negli ultimi anni in molte occasioni ha svolto un ruolo di “anomalo” ammortizzatore sociale” per i lavoratori espulsi dal ciclo produttivo e, non ha svolto (per la parte relativa al mondo dell’apprendistato) la funzione prevista dalle normative di legge e dalla contrattazione collettiva.

La formazione professionale deve quindi essere reindirizzata con un forte investimento in professionalità e strumentazione per le funzioni che le sono proprie e riferita all’accrescimento delle professionalità medio alte.

  • Lavoro autonomo

Il 95% delle imprese ha meno di 10 addetti: un piemontese su due e occupato in queste imprese, se consideriamo anche i titolari ed i famigliari si tratta di una fetta consistente dell’occupazione della nostra regione: oggettivamente è da queste piccole imprese che dobbiamo aspettarci un importante contributo al rilancio della nostra economia.

Gli interventi a sostegno delle piccole imprese (e ai loro lavoratori) devono essere improntati a stabilire una parità dei trattamenti fra grandi, medie, piccole e piccolissime imprese.

Uscire dalla crisi, rilanciare lo sviluppo significa “fare i conti” con questo mondo: sino ad ora il Centro-Destra è il beneficiario prevalente di questo sistema di imprese: il centrosinistra può costruire, anche per le mutate condizioni economiche, una reale alternativa, cioè costruire su ipotesi di governo, a cominciare dalla Regione, la sua “onda lunga” per la riscossa coinvolgendo in questa azione  imprenditori e dipendenti che, in queste aziende, sono, di fatto, senza rappresentanza sindacale tradizionale.

Tra le competenze esclusive della Regione ci sono temi che coinvolgono i settori di cui parliamo. Pensiamo a quelle relative a artigianato, commercio, formazione, lavoro, e a quelle che si intrecciano con le competenze statali (scuola, sostegno all’innovazione ed alla ricerca, al sostegno dello sviluppo ed all’internazionalizzazione del sistema delle piccole imprese come definite dalla normativa europea). Dobbiamo anche poi considerare che la Regione ha interrelazioni (con conseguenti possibilità di iniziative) con il sistema europeo, con il sistema finanziario e bancario, imprenditoriale, sia direttamente che indirettamente attraverso le finanziarie regionali. Tuttavia la Regione (come tutte le Regioni italiane a statuto ordinario) vive di finanza derivata, cioè con risorse trasferite dalla Stato.

In questo ambito finanziario, può essere proposta una politica per le PMI: presumibilmente con impegni non superiori a agli 80-100 milioni di euro ai quali aggiungere, eventualmente, la quota di cofinanziamento statale ed europeo.

Tecnologie avanzate, organizzazione d’impresa, capitali di rischio sono i motori propulsori per affrontare mercati sempre più complessi e competitivi. Su questa semplice constatazione si innesta un complesso discorso non solo di carattere finanziario, ma di servizi e consulenze al sistema delle imprese: la Regione può operare affinché, ad esempio, ad ogni euro che investe l’imprenditore nella propria impresa, la banca (od altro intermediario finanziario) ne possa mettere quattro.

L’elevata internazionalizzazione del Piemonte è spiegata non solo dalla presenza del gruppo Fiat, che detiene partecipazioni estere nel settore dell’auto, ma anche nella meccanica e dalla presenza in Piemonte, sempre nel settore della meccanica e dell’automotive, di gruppi esteri. Non bisogna confondere l’internazionalizzazione con l’export: le nostre piccole imprese potrebbero forse esportare di più se accompagnate e seguite per superare il loro gap di “piccole senza organizzazione”. Se i capitali non sono interni all’azienda bisogna ricercarli in strutture che hanno visione, capitali ed organizzazione. Non solo: per affrontare nuovi mercati, aggregazioni e sinergie sono fondamentali.

Questo è un tema importante di intervento regionale, sia in termini di “leva finanziaria”, sia in termini di servizi.

  • Poli di innovazione

I poli di innovazione devono in primo luogo riconoscere i punti di eccellenza di cui la nostra regione è ricca, riconoscerne e valorizzarne il loro essere espressione di lunghe pratiche e saperi antichi del territorio e lavorare al loro potenziamento, favorendo la costruzione di reti e filiere lungo precisi assi di priorità: l’innovazione, intesa sia come innovazione di prodotto e di processo, sia come innovazione degli strumenti di governo; le energie rinnovabili sia come fatto legato alla natura stessa delle produzioni (le materie prime rinnovabili da agricoltura o la ricerca per processi o produzioni meno energivore), sia come caratteristica delle nuove aree attrezzate (l’alimentazione energetica delle aree stesse, la natura dei nuovi insediamenti), sia come sperimentazione più diffusa nel territorio legata alla ottimizzazione di filiere produttive o al recupero-valorizzazione di strutture e spazi importanti, altrimenti destinati a un degrado irreversibile; la riqualificazione ambientale dato caratterizzante della qualità delle nuove aree di insediamento, ma anche come dato più complessivo in cui leggere il nuovo rapporto con il paesaggio e l’agricoltura, intesi come patrimonio di risorse rinnovabili; dato, in definitiva, attraverso cui affermare un concetto di qualità ambientale come fattore di competitività che caratterizzi l’apparato produttivo regionale, un apparato produttivo che ha importanti risorse anche nel settore turistico-ricettivo; la valorizzazione delle risorse umane che va  affrontato col pieno coinvolgimento delle università e dell’intero mondo della scuola, facendone il terreno portante per una riorganizzazione del sistema formativo nel suo complesso.

  • Commercio

A partire dagli anni 80 dello scorso secolo il settore commerciale ha mutato profondamente la sua natura e la sua composizione per effetto di una serie di fattori che sono sinteticamente riconducibili a: ingresso nel mondo del commercio al dettaglio di una parte dei lavoratori espulsi dai cicli produttivi; superamento della legislazione sul contingentamento delle tabelle merceologiche con conseguente liberalizzazione del mercato; insediamento massiccio della grande distribuzione con la proliferazione di centri commerciali.

Profonde modificazioni sono intervenute anche nel settore dei pubblici esercizi con una trasformazione graduale (soprattutto nei centri urbani medio grandi) in luoghi di ristoro per la pausa pranzo.

Il risultato ultimo, e oggi particolarmente tangibile, di queste modificazioni (proliferazione di negozi e concorrenza della grande distribuzione) ha prodotto una scomparsa in molti piccoli centri dei negozi tradizionali e, nei centri urbani di dimensioni maggiori, una consistente riduzione dei locali commerciali di prossimità.

Intere aree residenziali, in particolare quelle popolari, in cui alle scelte generali si sono sommati i pesanti riflessi della diminuzione del potere d’acquisto (anche precedentemente alla crisi attuale) sono sprovviste di locali commerciali e di pubblici esercizi.

Un impoverimento del territorio non solo di tipo economico ma anche di capacità di vita sociale. La mancanza di luoghi di ritrovo pubblici rende parti intere delle nostre aree urbane non frequentate dopo le  ore preserali e, viceversa, convoglia su pochi luoghi deputati una massa di fruitori di servizi che  crea disagi ai residenti e, comunque, si autoseleziona per interessi e non per residenza.

È quindi necessario ripensare a politiche commerciali che agevolino l’insediamento o il re insediamento di esercizi pubblici, privilegiando (al fine di tutelare la capacità di acquisto dei cittadini), le forme consorziate e quelle che creano sinergie con i produttori locali.

Nelle piccole comunità occorre promuovere e incentivare l’autorganizzazione degli abitanti attraverso la formazione di gruppi di acquisto collettivo o altre forme di mutualità.

  • L’ambiente come occasione di sviluppo e di lavoro

Le nostre proposte si indirizzano  prioritariamente in quattro aree di intervento : energia, edilizia, trasporti, sicurezza ambientale.

Energia

La nostre regione, come del resto tutto il Paese ha bisogno di una radicale accelerazione di tutti quegli interventi che possono produrre una forte riduzione dei consumi energetici attraverso:

  • Lo sviluppo delle fonti rinnovabili attraverso la semplificazione delle regole per l’approvazione degli impianti; un piano di incentivi per i prossimi anni; la promozione dell’autoproduzione.
  • Il risparmio attraverso l’incentivazione alla riduzione dei consumi realizzata negli edifici, sia sul versante delle famiglie sia su quello delle imprese.
  • L’efficienza energetica attraverso il sostegno economico, sbloccando i finanziamenti già stanziati, per il rinnovo del parco dei motori elettrici, dei sistemi di illuminazione e refrigerazione).
  • L’innovazione attraverso l’introduzione di incentivi alle tecnologie più efficienti di risparmio energetico.

Il nucleare non serve al nostro Paese e al Piemonte

Il nucleare, per come è stato riproposto, merita un capitolo a parte. Infatti com’è noto si sta cercando di spostare ogni decisione sui possibili siti per le nuove centrali nucleari a dopo le elezioni regionali per non permettere ai cittadini di fare di questo un punto di valutazione dei candidati in lizza. E’ uno stratagemma per aggirare il confronto democratico che non possiamo accettare.

Si ribadisce la contrarietà all’installazione di centrali insicure di “terza generazione” sul territorio regionale.

Il nucleare non ci farà recuperare i ritardi rispetto alle scadenze internazionali per la lotta ai cambiamenti climatici. Se l’Italia decidesse di puntare sul nucleare, dirotterebbe sull’atomo anche le insufficienti risorse economiche destinate allo sviluppo delle rinnovabili e al miglioramento dell’efficienza energetica, abbandonando di fatto le uniche soluzioni praticabili per ridurre in tempi brevi le emissioni che cambiano il clima.

Occorre rivendicare il diritto della Regione a partecipare alle decisioni statali in campo energetico, come previsto dalla Costituzione. Inoltre, in caso di eventuali proposte di realizzazione in Piemonte di centrali nucleari, sarebbe opportuno che l’espressione da parte della Regione del parere positivo per l’intesa con lo Stato fosse subordinata al risultato di una consultazione di tutti i cittadini attraverso un apposito referendum regionale.

Considerato che attualmente in Piemonte è presente oltre l’80% dei rifiuti radioattivi italiani, in questa fase occorre garantire la massima trasparenza e partecipazione nel processo di individuazione dei siti di stoccaggio per i rifiuti radioattivi, derivanti anche dal decommissioning delle centrali dismesse .

Edilizia

E’ uno dei settori più in crisi, dopo aver avuto in questi ultimi anni  tassi di crescita e di costruzioni realizzate che hanno paragoni solo nel dopoguerra.

Il problema è che si è costruito tanto senza per questo riuscire a dare risposta proprio alle fasce sociali che avevano bisogno di una prima casa, e la produzione continua a essere caratterizzata da una scarsa qualità e innovazione. Occorre dare risposta al disagio di tante famiglie che non hanno accesso alla casa e a chi paga rate di mutui e affitti che assorbono una quota preponderante della spesa familiare. E in questa prospettiva spingere all’innovazione del settore verso la qualità di prodotto.

Trasporti

Occorre aggredire uno dei problemi principali che ogni giorno vivono milioni di persone per andare a lavorare o muoversi, e fonte di inquinamento, congestione, invivibilità delle città. In questi anni i problemi della mobilità sono rimasti schiacciati dall‘enfasi posta nel dibattito politico sul ritardo infrastrutturale del Paese e nei confronti delle grandi opere che ha fatto perdere di vista priorità e vere emergenze. E’ invece fondamentale spostare attenzione e risorse laddove sono i problemi, ossia nelle aree urbane e negli spostamenti pendolari che ogni giorno interessano circa centinaia di migliaia  di persone.

Sicurezza ambientale

Siamo di fronte a un enorme problema che in forme diverse interessa larga parte del territorio italiano. E’ necessario intervenire per la manutenzione di territori vastissimi a rischio idrogeologico al fine di prevenire sciagure attraverso un più attento controllo, pianificazione e repressione degli abusi. E’ urgente riqualificare tante aree in stato di abbandono, da periferie degradate a aree che attendono da anni interventi di bonifica. In queste aree non esiste altra ricetta possibile che un incisivo intervento pubblico capace di innescare processi di recupero da parte di cittadini e imprese. Sono aree in cui nessun cambiamento avverrà mai da solo, e quindi richiedono un forte protagonismo pubblico. In generale si tratta di situazioni dove dal recupero e messa in scurezza possono scaturire straordinarie possibilità di valorizzazione, di recupero di identità e sicurezza per i cittadini che vi abitano, di nuove iniziative imprenditoriali per innescarvi nuove imprese o opportunità turistiche.

  • Sicurezza idrogeologica: avviare un Piano di manutenzione  dei fiumi e dei versanti che preveda tra le altre cose i piani di rimboschimento. Rilanciare progetti sulle conoscenze delle risorse naturali e delle aree a rischio per ridurre gli impatti del dissesto idrogeologico.
  • Bonifica e reindustrializzazione dei siti industriali inquinati: Operare al fine di sbloccare rapidamente il contenzioso e rendere rapidamente disponibili le risorse europee per la reindustrializzazione dei siti bonificati

Particolare attenzione va dedicata a quelle aree della nostra regione che necessitano di consistenti interventi di bonifica. Tra questi è emblematica la provincia di Alessandria.  Un territorio che nel corso del ‘900 è stato riferimento di importanti e diffusi insediamenti industriali i quali, come conseguenza, lo hanno portato ad essere sede di metà dei siti inquinati e delle bonifiche di interesse nazionale presenti nella regione (Eternit a Casale Monferrato, Ecolibarna a Serravalle, Barco a Castellazzo Bormida), di 111 siti locali da bonificare, delle ricadute in Valle Bormida per l’Acna di Cengio (Savona) e nel Monferrato per la contaminazione delle falde superficiali dovuta ai siti nucleari di Trino e Saluggia (Vercelli), e di situazioni tuttora in fase di analisi come l’inquinamento da cromo esavalente e derivati nel terreno e nelle falde di Spinetta Marengo, nella zona della Fraschetta.

La grave situazione ambientale del polo chimico di Spinetta Marengo, per la dimensione e le caratteristiche dell’area coinvolta – sia all’interno che all’esterno dello stabilimento – il numero dei lavoratori occupati e dei cittadini la comunità spinettese interessata, richiede a tutti i soggetti impegnati nella vicenda e, in primo luogo, ai responsabili della società Solvay, la massima assunzione di responsabilità, una completa trasparenza nei comportamenti e negli atti e una rigorosa e chiarainformazione pubblica da parte degli enti di controllo.

  • Bonifica dell’amianto: realizzare almeno in ogni regione un impianto per la inertizzazione dell’amianto e rendere disponibili incentivi per avviare la sostituzione dei pannelli di eternit, che ricoprono tanti capannoni industriali, con pannelli fotovoltaici.
  • Ciclo dei rifiuti: realizzare le strutture e gli impianti che consentano la chiusura del ciclo dei rifiuti sulla base del massimo riuso e riciclo, riducendo al minimo il conferimento in discarica e l’incenerimento. Incentivare le filiere dell’industria e della distribuzione che riducono l’uso delle materie prime e le quantità di rifiuti prodotte
  • Ciclo delle acque: Premesso che l’acqua è e deve rimanere risorsa pubblica. Non è un prodotto commerciale al pari degli altri, ma un bene comune che deve essere protetto, difeso e gestito secondo criteri di equità ed efficienza. Questa è la nostra convinzione e sulla base di questo principio costruiremo le politiche future. Promuovere un programma di manutenzione delle reti idriche per ridurre le perdite; migliorarne la qualità e verificare l’efficienza dei depuratori esistenti e realizzare collettori fognari e impianti di depurazione per i comuni ancora sprovvisti; incentivare l’adozione di sistemi a basso consumo in agricoltura e industria. Promuovere la diffusione delle tecniche irrigue più avanzate e la formazione degli operatori e fornire agli enti pubblici, ai consorzi di bonifica e alle imprese i dati di Remote Sensing sulle emergenze irrigue puntuali introducendo un modello di agrometereologia e idrologia agraria che potrebbe portare ad una riduzione del consumo di acqua almeno pari al 30% del consumo attuale.
  • Istruzione e formazione

La cultura, il sapere diffuso sono un bene prezioso: sono l’indice della democrazia e della civiltà di un paese.

E’ compito di ogni società fornire alfabeti, codici e strumenti, chiavi di accesso alla conoscenza uguali per tutti; non devono essere prefigurate gerarchie dei saperi o canalizzazioni precoci.

Oggi ogni lavoro è sempre più basato sul sapere e sull’apprendere lungo tutto l’arco della vita mediamente sempre più lunga. I giovani devono crescere e maturare la loro personalità in un ambiente formativo integrato e allo stesso tempo diverso, com’è la società in cui viviamo. La sfida della multiculturalità richiede lo scambio fra culture e religioni diverse nella continua e faticosa costruzione di valori condivisi.

La nostra politica per l’istruzione si basa su:

Diritto allo studio

Le scelte regionali per la distribuzione delle risorse per il diritto allo studio devono avere al centro l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze. Si può e si deve diminuire la forbice fra ricchi e poveri nel raggiungimento del successo scolastico. Perciò proponiamo:

  • un forte investimento nei nidi e nella scuola dell’infanzia: è lì che si pone il primo mattone per costruire degli uomini e delle donne in grado di affrontare le sfide della società della conoscenza;
  • l’aumento della lotta alla dispersione scolastica, puntando sui metodi che favoriscono il successo formativo, in particolare nella scuola media e nel biennio della superiore;
  • il sostegno ai percorsi culturali che si propongono di favorire lo scambio fra culture, come condizione di crescita della cultura stessa;
  • la realizzazione del diritto di ogni cittadina e di ogni cittadino alla formazione lungo tutto l’arco della vita.

Sulla base di queste proposte va ripensata l’intera politica del buono scuola. Le rette delle scuole private sono tali da non consentire, comunque, alcuna libertà di scelta educativa. Si distribuiscono risorse a chi ha già un reddito tale da permettergli di affrontare mensilmente costi assai elevati per l’istruzione dei propri figli, mentreoccorre sostenere le famiglie che mandano i figli alla scuola pubblica. Una scuola di tutti che, purtroppo, a causa della dissennata politica del governo, deve ricorrere sempre più alle famiglie per far fronte ai tagli ministeriali su beni e servizi scolastici di prima necessità.

Servizi di sostegno

Proponiamo di potenziare:

  • il supporto al tempo pieno, che è importante in ogni parte della regione, montagna compresa e per il quale occorrono risorse, anche per retribuire il personale che copre spazi non coperti dallo stato;
  • la rete dei trasporti, che occorre razionalizzare e coordinare con gli orari delle scuole, per ridurre i disagi delle famiglie;
  • Il sostegno alle piccole scuole di montagna, collina e pianura  all’interno di veri e propri Patti Educativi Territoriali.

Organizzazione della rete territoriale

Nel passato, in Piemonte, si è svolta una forte razionalizzazione e ora si può concretamente pensare a una politica di programmazione territoriale basata su una visione antitetica a quella proposta dai provvedimenti del ministro Gelmini, che prefigurano i tre ordini di scuola (liceale, tecnica e professionale) il più possibili divisi. Si può immaginare, al contrario, la costituzione di poli costituiti da  Istituti di istruzione secondaria, in cui coesistano licei, istituti tecnici e istituti professionali, attinenti, ad esempio, al settore tecnologico. Un sistema, sperimentato con successo in Finlandia e in altri paesi, che favorisce tra l’altro la possibilità di passare da una scuola all’altra. Una possibilità che teoricamente tutti affermano di riconoscere, ma che richiede concrete politiche anche nella dislocazione degli edifici e nella predisposizione dei percorsi didattici.

Università

Noi pensiamo che le politiche del diritto allo studio debbano favorire il conseguimento dei titoli d’istruzione superiore da parte di tutti i “capaci e meritevoli”, anche se privi di mezzi finanziari. Il dettato costituzionale è, a tale proposito, particolarmente chiaro. La  mancata attuazione di questa parte della nostra carta fondamentale è evidente e documentata. Infatti l’Italia occupa  una posizione assai arretrata in tutte le indagini internazionali che valutano la presenza, nei vari paesi, di politiche formative che favoriscano la mobilità sociale.

Infine, riteniamo che lo sviluppo dell’Università “a rete” permetterebbe di conciliare le esigenze delle varie realtà territoriali con quelle di un’ unitaria programmazione regionale.

Formazione professionale

E’ una materia ampiamente delegata alle province, ma riteniamo che la politica regionale debba essere basata su tre principi:

  • il sistema della formazione professionale deve potenziare le sue caratteristiche di flessibilità, che la mettono in grado di seguire le evoluzioni del mercato del lavoro;
  • la formazione professionale deve adeguarsi ai bisogni del territorio;
  • il sistema della formazione professionale è complementare e non sostitutivo rispetto al sistema di istruzione, che è il luogo della realizzazione dell’obbligo di istruzione previsto dall’art.34 della Costituzione.
  • Comunità montane come agenzie di sviluppo

La razionalizzazione delle comunità montane piemontesi ha determinato la definizione di nuovi enti che non solo per le dimensioni territoriali e demografiche, ma anche per la ricchezza delle competenze oggi previste dalla legge regionale, rappresentano una novità nel panorama istituzionale locale. L’attuale accorpamento per ognuna delle precedenti comunità può essere  uno stimolo a riscoprire la dimensione intervalliva delle relazioni umane e sociali. Per la montagna in generale è un’occasione (forse l’ultima) per uscire dalla marginalità e progettare un futuro, basato sulla costruzione di una fairgreen economy. Il principio dell’unità, vale a dire del coinvolgimento più ampio in un progetto locale di amministratori di diversa appartenenza politica, deve dunque saldarsi con quello del rinnovamento.

Che cosa intendiamo in concreto per fairgreen economy in montagna? Intendiamo uno sviluppo che, partendo dalla odierna crisi del vecchio modello di sviluppo, sappia individuare nelle risorse del territorio. In particolare il bosco, curato e rinnovato anche con i contributi della legge forestale della Regione Piemonte, può a sua volta diventare una autonoma fonte di introiti sul mercato della CO2 in un mondo che sempre più guarda agli obiettivi europei di Kyoto (il cosiddetto 20-20-20) comecondicio sine qua non per assicurare un futuro al pianeta. Per l’uso di questa risorsa in termini energetici, come per le altre deve essere la Comunità montana a promuovere direttamente , le forme gestionali più idonee. Principi analoghi valgono per il ciclo idrico integrato. Con il supporto delle regione la comunità montana può svolgere un ruolo formidabile per quanto concerne la difesa del suolo attraverso un piano che  a partire dal monitoraggio e da una messa in rete delle informazioni e delle competenze indispensabili operi per  un corretto uso del suolo. Analogamente uncoordinamento urbanistico intervallivo consentirebbe di programmare aree con particolari caratteristiche (servizi, interventi produttivi di rilevante dimensione ecc.) su scala sovracomunale e di dotarle della indispensabile infrastrutturazione.

Parte integrante della new economy montana posso e devono essere forme antiche di attività produttive, aggiornate e riscoperte nelle loro valenze più innovative. Così accanto al rilancio dell’artigianato del legno, occorre aiutare le aziende agricole montane e valorizzare i prodotti tipici locali (DOP in itinere), anche con soluzioni originali (ad es. vini delle colline saluzzesi in estensione altimetrica fin dove possibile). Le aziende agricole, specializzate, anche quelle di nicchia e quelle avviate a produzione biologiche sono infatti parte essenziale del tessuto dell’economia montana

  • Agricoltura

Vogliamo un’attività agricola che rappresenti un vero presidio ambientale del territorio. Un’agricoltura che garantisca reddito può arginare il fenomeno del consumo dissennato del suolo creando forze vive di pressione locale che si battano contro la destinazione delle aree agricole ad aree di edilizia residenziale e aree produttive. Così come vogliamo un’agricoltura che si occupi del ripristino ambientale, della manutenzione di sentieri e altra infrastrutturazione minore rurale

Le politiche a favore dell’agricoltura e il rapporto con le lobby del settore devono chiudere le porte al puro assistenzialismo per stimolare la crescita di un forte comparto agricolo del futuro.

L’azienda agricola deve fare i conti con il mercato, anche se piccola, ma a questa vanno attribuite funzioni nuove di interesse collettivo come: la manutenzione idrogeologica, il miglioramento degli habitat agronaturali.

Va promossa anche la consapevolezza nelle aziende agricole di essere custodi (oltre che legittime proprietarie) del suolo agricolo inteso come vero patrimonio collettivo: di cui la collettività incentiva la custodia, la piena funzionalità produttiva, l’efficienza ambientale, il valore paesaggistico;

Le politiche regionali devono andare verso:

  • Incentivi alla forestazione di pianura come compromesso tra riqualificazione naturalistica del territorio e opportunità di reddito. Conversione dei pioppeti e dei campi a cereali delle aree golenali e delle aree più scomode e meno produttive con bosco planiziale disetaneo
  • Incentivi al ridisegno del paesaggio agricolo con l’alternanza di colture, siepi, tratti boscati;
  • L’incremento faunistico anche indiretto su incarico alle aziende agricole da parte degli Atc e dei Ca;
  • Promozione dell’agricoltura e dell’allevamento in montagna, manutenzione territorio, manutenzione sentieri;
  • Centri per l’agricoltura biologia e per i servizi ai prodotti tipici;
  • Promozione della filiera corta e dei prodotti tipici;
  • Spazio per i produttori delle associazioni nei mercati rionali e dei piccoli comuni;
  • Rapporti stretti tra le associazioni dei produttori e i gruppi di acquisto collettivo;
  • Spazi di vendita dei prodotti delle associazioni dei produttori all’imbocco delle vallate;
  • Favorire i rapporti tra i gruppi di acquisto solidale e i produttori;
  • Azioni per favorire l’approvvigionamento esclusivo di prodotti di stagione del territorio da parte della ristorazione e del ricettivo turistico-alberghiero;
  • Attenta valutazione delle scelte politiche in materia di biocarburanti e biomasse per non creare condizioni di nuova dipendenza energetica dai mercati, per non incentivare di nuovo la crescita di un’economia agricola debole ed esposta alla fluttuazione mondiale dei mercati;
  • Opposizione alla coltivazione di OGM sul territorio piemontese
  • Un turismo che porti ricchezza ai territori

Anche dopo le Olimpiadi del 2006 rimane la tradizionale debolezza del settore che è strutturale e affonda le radici nella monoeconomia industriale che ha caratterizzato Torino e altri centri del Piemonte.

La Regione deve così lavorare per la costruzione di un vero prodotto turistico.

In particolare deve concertare con gli operatori le linee guida: definire quale turismo vogliamo, in quale nicchia di mercato si può collocare il nostro territorio, tradizionalmente stretto tra l’Italia delle città d’arte e la Francia, entrambe mete mondiali.

Ma perché un partito di sinistra deve lavorare per sviluppare il settore turistico?

Perché è il settore che più permette una salvaguardia ambientale del territorio e più si sposa con un’idea di sviluppo compatibile o addirittura di decrescita.

E’ il settore delle opportunità per i territori marginali e per l’intraprendenza individuale e familiare. E’ il settore che frena lo spopolamento dei piccoli centri e anzi li rilancia come luoghi del buon vivere.

E’ settore che se abbracciato da un territorio obbliga a cambiare mentalità e a preservare ambiente, cultura, tradizioni, senso del locale e della comunità: perché senza difesa del patrimonio naturalistico, culturale e storico-artistico non c’è attrattività turistica. Occorre incentivare la fruizione turistica “dolce” delle aree protette del Piemonte. Un turismo attuato secondo principi di responsabilità, equità, rispetto per le persone e per l’ambiente, è strumento per lo sviluppo sostenibile. Tali pratiche per altro interessano un numero ogni anno crescente di persone sia Italiane che straniere. Incentivando la  fruizione turistica dei parchi nel rispetto delle caratteristiche peculiari dell’area, si offrono anche opportunità interessanti di sviluppo locale del territorio compreso e prossimo alle aree protette.

Ma il turismo è anche il settore dove il lavoro nero e la precarietà sono tradizionalmente la norma.

Il settore che nelle sue scelte trainanti d’impresa è stato caratterizzato in Piemonte (al contrario delle tradizionali conduzioni familiari di Sud Tirolo e Valle d’Aosta) sempre da grandi investimenti senza lasciare nelle Comunità locali una vera cultura diffusa dell’accoglienza.

La Regione dovrà mettere in campo politiche per combattere la carenza di strutture ricettive.

Strutture di accoglienza che contribuiscano a creare l’immagine dei nostri territori attraverso il rispetto rigoroso di tipologie edilizie locali o storiche.

Per questo è opportuno rivolgersi alla riconversione fabbricati in strutture ricettive (montagna: alpeggi; pianura: cascine, fabbricati storici; le strutture religiose sottoutilizzate; le strutture del demanio militare); Serve poi un piano di utilizzo delle seconde case (messa sul mercato e esenzioni per i proprietari);

Serve anche scoraggiare l’uso dell’auto durante i soggiorni dotando i territori, in particolare quelli montani, di efficienti sistemi di trasporto locale a chiamata.

La Regione deve valorizzare la massimo la professionalità e il contributo delle professioni turistiche nelle scelte di politica turistica.

Per questo va favorita la creazione di vere imprese di servizi turistici convertendo il volontariato in forma occupazionali stabili.

Per il settore degli impianti da sci va promossa con il governo la possibilità di creare forme di ammortizzatori sociali per gli addetti fissi e stagionali.

Va creato un fondo (con i Comuni, con la Regione, con le Comunità montane, con i privati) di protezione dalle annate senza neve.

Con le società degli impianti vanno promosse politiche di avvicinamento allo sci (pratica da tempo in stallo se non in regresso) con politiche dei prezzi che favoriscano la pratica anche per i residenti di montagna meno abbienti.

La legge sulle Atl va rivista.

Le Aziende turistiche locali devono avere funzioni di vere agenzia per lo sviluppo turistico in accordo con Province e Comunità montane. Devono essere soggetti che si occupano di tutta la promozione e soprattutto del controllo di qualità sul turismo. Devono occuparsi di: Piani per lo sviluppo turistico; Pianificazione fabbisogno alberghi e posti letto; consorzi di tour operators; esami e corsi professioni turistiche; orari degli esercizi; controllo qualità e cancellazione albi e sospensione licenze; Pratiche per apertura attività; promozione prodotti tipici insieme alle aziende agricole e agli enti parco;

Il patrimonio ereditato dalle Olimpiadi in capo alla Fondazione XX marzo dovrà essere gestito con criteri di rilevante interessa pubblico in accordo con la Parcolimpico Srl.

Va valutata attentamente, dopo le Olimpiadi invernali del 2014 la possibilità di smantellare l’impianto bob di Cesana e i trampolini di Pragelato con il successivo ripristino ambientale.

La Fondazione XX marzo potrà cessare la propria esistenza nel 2014. Il contratto in essere con Parcolimpico Srl potrà essere assunto dalla Regione in accordo con il Comune di Torino e la Provincia.

3. La pianificazione dei bisogni del territorio

Viviamo in un paese che troppo spesso ha rinunciato e rinuncia a darsi strumenti di controllo  e di pianificazione del proprio futuro. Come abbiamo avuto modo di sottolineare nel capitolo “Uscire dalla crisi” lo sviluppo economico e sociale è passato in questi  anni per una rapida fase di trasformazione nella quale i settori “immateriali” come i servizi avanzati, l’informazione (e l’informatica)  e la cultura fanno ormai la parte del leone nella creazione e redistribuzione di ricchezza. Il fenomeno, in sé  nettamente positivo, si accompagna però a grandi bolle di speculazione, di rendita di posizione, di sovvenzioni talora distorcenti a tutto discapito di beni comuni come ad esempio il suolo e l’acqua. La cosa più frustrante è che, pur tra mille contraddizioni, la spinta comunitaria verso un approccio pianificatorio è evidente e forte, mentre in Italia si continua con scelte a prescindere da seria valutazioni costi e benfici.L’imposizione della VAS (valutazione ambientale strategica), per esempio, se seriamente impostata ed effettuata, potrebbe fornire a tutti gli enti pubblici importanti indicazioni per definire i piani di settore.

Per questo, attraverso gli strumenti della pianificazione, SEL vuole rilanciare il dibattito sull’uso razionale di  beni comuni come aria, acqua, suolo, territorio,paesaggio e biodiversità  . Per compiere questo passo occorre ripartire dalla determinazione dei fabbisogni “reali”, ovvero necessari alla soddisfazione delle esigenze delle persone e delle attività economiche, alla qualità della vita e allo sviluppo. Contemporaneamente occorre  rinunciare a tutti quegli interventi di corto respiro, spesso utili solo a far quadrare i bilanci degli Enti o peggio ancora a  soddisfare piccoli gruppi di interesse.

La pianificazione può assumere nuovi connotati: infatti una pianificazione,  realizzata dai tecnici di settore,oggi, con l’aiuto dell’antropologia, può contenere percorsi di partecipazione e di maggiore consenso e coinvolgimento rispetto al passato.

Per  porre fine allo spreco del territorio, tutelare il paesaggio, offrire una mobilità sostenibile e confortevole, ridurre i rischi di frane e alluvioni è necessaria  una pianificazione che restituisca il giusto equilibrio tra attività, bisogni e funzioni sull’intero territorio. Insomma una pianificazione che prenda innanzitutto in considerazione i problemi reali, consenta di affrontare le priorità prefigurando differenti scenari di soluzione  e verifichi la bontà dei risultati raggiunti.

  • Territorio e consumo di suolo

Il degrado ambientale, in termini di congestione urbana, traffico, inquinamento,consumo di suolo, degrado del paesaggio, impoverimento delle risorse naturali e del sistema dei beni

culturali, è il risultato di scelte urbanistiche e territoriali errate, ossia di destinazioni d’uso non

correttamente individuate, di intensità di utilizzo del suolo eccessive rispetto alla capacità di accoglimento,distribuzione e smaltimento di flussi (di persone, di merci, di mezzi di trasporto, di energia, di rifiuti..).

Affrontare le questioni urbanistiche, e, quindi, anche i processi attraverso i quali le pubbliche amministrazioni governano il territorio, significa inevitabilmente cercare di comprendere i meccanismi che regolano le trasformazioni del territorio (sia esso urbano o extraurbano.);

Meccanismi riconducibili, da un lato, alla complessità degli strumenti di pianificazione, dall’altro, ai processi di formazione e appropriazione della rendita, ossia dell’incremento di valore del territorio proprio per effetto delle scelte pubbliche relative alla destinazione dei suoli, alla loro densità di utilizzo, agli investimenti per la infrastrutturazione del contesto.

Negli ultimi anni si sta assistendo ad alcune preoccupanti novità: molte amministrazioni pubbliche, per far fronte alla scarsità di risorse finanziarie a propria disposizione, ritengono che il territorio, attraverso le scelte urbanistiche, debba “produrre” risorse finanziarie per il bilancio (annuale o triennale) del singolo Comune.

Sempre di più stiamo assistendo a scelte urbanistiche dettate non già dall’esigenza di dotare le città e il territorio nel suo complesso di spazi adeguati per rispondere ai fabbisogni espressi dalle persone e dalle attività economiche, oltre che dalle esigenze di tutela del patrimonio storico, naturale e paesaggistico (“beni” che,non si traducono, almeno nel breve periodo, in risorse da impegnare nei bilanci comunali), ma dalla possibilità di “introitare oneri di urbanizzazione” attraverso la previsione di insediamenti residenziali,commerciali, industriali a prescindere dalla loro effettiva necessità, e, comunque, a prescindere dalle conseguenze ambientali, sociali ed economiche (ed in molti casi anche culturali) che possono produrre .

Il processo di sperimentazione avviato con la legge Reg 1/2007  non potrà arginare questa deriva. Anzi, rendendo i comuni protagonisti delle trasformazioni del proprio territorio ne aumenta i rischi. Infatti in virtù di questo potere assegnato ai comuni, una scelta di un comune può determinare rilevanti impatti e conseguenze sul territorio circostante compreso quello del comune limitrofo, senza che il secondo, ma neppure Provincia o Regione possano intervenire. La recente adozione del Piano Paesaggistico Regionale da parte della Regione  è un fatto estremamente importante e positivo, ora però ci rimane da capire come sia possibile nell’iter conclusivo pervenire a norme che diano sufficienti garanzie affinché i beni ambientali e culturali siano salvaguardati.

Tenuto conto che gran parte dell’attività urbanistica dei Comuni avviene attraverso varianti che riguardano porzioni del proprio territorio ( e anche nel caso in cui abbiano una portata tale da modificare l’impostazione del PRG non sono annoverabili, anche per effetto della LR 1/2007, tra

le varianti generali), tali varianti  potrebbero non essere tenute ad adeguare  le proprie previsioni alle indicazioni del Piano, il che potrebbe addirittura comportare la cancellazione dei

beni paesaggistici segnalati dal Piano medesimo.

Relativamente allo “Snellimento delle procedure in materia di edilizia ed urbanistica rimane la preoccupazione per le conseguenze sulle condizioni ambientali,paesaggistiche ed urbanistiche della nostra Regione in conseguenza dell’entrata in vigore delle norme del DDL. Condividiamo la necessità di individuare incentivi per indurre i proprietari degli immobili a migliorare l’efficienza energetica e ad utilizzare fonti rinnovabili e al contempo riteniamo che sia necessario sostenere il settore edilizio, però vorremmo che tali obiettivi venissero perseguiti con l’accortezza di evitare di causare altri problemi ambientali.

  • Aree protette, fauna selvatica e biodiversità

Si ripongono forti aspettative nell’applicazione del nuovo testo unico soprattutto per quel che concerne le norme riguardanti la biodiversità e quindi la Rete Ecologica Regionale. A tutela delle aree di pregio e di interesse naturalistico intendiamo sostenere la realizzazione della Carta della Natura Regionale prevista dal “Testo unico sulla tutela delle aree naturali e della biodiversità” facendola diventare documento vincolante per la definizione degli strumenti di pianificazione territoriale. Intendiamo dedicare particolare attenzione ai Piani di Gestione per il particolare ruolo di strumento pianificatorio  sancito dalla nuova legge.

La fauna infine va gestita come una risorsa collettiva che non può essere in alcun modo privatizzata o resa patrimonio esclusivo di alcuni.

Bisogna recuperare un corretto rapporto tra la fauna e i cittadini che sono i primi custodi degli animali, e indirizzare le amministrazioni locali a gestire la situazione direttamente e non a demandare la stessa soltanto ai cacciatori. Quanto alla fauna ittica, l’istituzione dei Comitati di Bacino previsti dalla legge regionale 37/2007 dovrebbe rendere più efficace la gestione ittica e la vigilanza ambientale sui fiumi, ma rimane necessario il coinvolgimento degli enti locali nella gestione stessa.

  • Mobilità sostenibile

La mobilità sostenibile è un vero e proprio punto di vista da cui guardare ad uno dei problemi più decisivi per la qualità della vita in una società moderna ( la mobilità ) ed individuare le soluzioni possibili a partire da alcune questioni di fondo:

  • i  problemi della qualità dell’aria, avendo presente che la nostra regione è quasi totalmente inserita in un territorio tra i più inquinati al mondo;
  • la cause che hanno generato questa situazione ivi compreso un modello insediativo diffuso o per meglio dire “disordinato” che favorisce gli spostamenti;
  • il risparmio energetico, come la forma di energia rinnovabile  più immediata e sapendo che i trasporti rappresentano uno dei settori di maggior consumo e di maggiore spreco energetici
  • la sicurezza, avendo presente la assurda quantità di morti e di infortuni che il traffico stradale produce e, su altri versanti, le stragi (reali e potenziali) che la recente vicenda di Viareggio ci ha drammaticamente evidenziato;
  • la qualità di vita di milioni di persone che quotidianamente si spostano per lavorare, ostaggi di un traffico il più delle volte insopportabile o di un trasporto pubblico locale lento, aleatorio e stressante;
  • le compatibilità economiche, sapendo che scelte diverse hanno ovviamente costi diversi;

Se si assumono queste come questioni fondamentali,  “mobilità sostenibile” significa allora stabilire e fare vivere gerarchie di valori:

  • trasporto collettivo piuttosto che trasporto individuale;
  • trasporto su rotaia piuttosto che trasporto su strada;
  • trasporto  merci su ferro piuttosto che su gomma;

Gerarchie da cui devono discendere coerenti politiche che riguardano ambiti e settori diversi: la riorganizzazione complessiva del TPL; scelte e priorità negli investimenti infrastrutturali e nella programmazione territoriale; organizzazione logistica e dei soggetti operatori in grado di perseguire le scelte qualitativamente necessarie; politiche tariffarie e fiscali che diano vita ad un sistema di incentivi e disincentivi a sostegno degli indirizzi stabiliti; politiche di comunicazione e culturali di accompagnamento.

Nel nostro Paese, i trasporti spesso si collocano tra le più evidenti espressioni di conflitto ambiente/territorio/popolazioni. Rispecchiano un modello di sviluppo caratterizzato da  fenomeni contradditori e controversi, tra i quali lo sfruttamento non sostenibile delle risorse naturali, un alto livello di consumo del territorio, la mancanza di partecipazione democratica alle decisioni. E non ultimo un effettivo sottoutilizzo della forza lavoro disponibile  sotto l’aspetto qualitativo e quantitativo.

In questo contesto SEL vuole portare il peso e lo spessore delle obiezioni ambientaliste, ma senza rifiutare a priori ogni proposta di nuovi insediamenti e/o infrastrutture.

Un sistema di trasporti efficiente e sostenibile richiede in primis  un confronto serio sulla previsione dei traffici, è indispensabile chiedersi che cosa e quanto è necessario trasportare e fino a dove. Quanto agli assi di trasporto pubblico, essi devono essere studiati in relazione agli obiettivi di organizzazione territoriale e collocati all’interno di scelte strategiche capaci di valutare le reali necessità.

In Italia la modalità prevalente di trasporto per passeggeri e merci è quella su gomma. Per spostare il traffico dalla strada alla rotaia occorre una politica dei trasporti che si ponga obiettivi di crescita del trasporto ferroviario a medio termine, per riequilibrare e rendere più efficiente e sostenibile il sistema e che al contempo rinunci ad un ulteriore potenziamento della rete stradale ed autostradale.

Va sviluppato un programma di interventi mirati ad incrementare la capacità delle linee attuali, integrandone la struttura a rete e agendo sull’offerta di servizi di trasporto efficienti ed affidabili, e sull’infrastruttura a livello dei nodi, (i veri colli di bottiglia della rete), senza ovviamente dimenticare la manutenzione e l’ammodernamento dell’esistente. Per spostare su ferro una consistente quota di traffico occorre un forte investimento per aumentare la qualità dell’offerta e dei servizi ferroviari, rinnovando il parco circolante di treni passeggeri di lunga distanza, inserendo nuovi treni metropolitani e regionali,(indispensabili per gli spostamenti dei pendolari), rinnovando il parco merci per renderlo più efficiente e sicuro. Per le merci è essenziale la puntualità nella consegna piuttosto che la velocità, servono concorrenza ed efficienza che riguardano la gestione della rete insieme all’offerta di tratte libere e competitive.

Più specificamente nella definizione del riassetto del traffico attorno a Torino ci si dovrà confrontare sulla realizzazione, economicamente e ambientalmente sostenibile, dell’asse di corso Marche.

Mentre pensiamo che la Tangenziale Est, almeno in questa fase, non sia prioritariasia per ragioni di carattere finanziario, sia per ragioni di carattere ambientale, anche  in considerazione del fatto che tale asse potrebbe innescare rilevanti processi insediativi in un contesto di alto pregio paesaggistico quale è la collina torinese.

Per le ferrovie, la priorità va data al nodo di Torino, contemperando l’immediata realizzazione di un servizio ferroviario metropolitano con il potenziamento del trasporto merci. La realizzazione della cintura ferroviaria per le merci è indispensabile per conseguire significativi incrementi di capacità di trasporto per le merci e fornire un deciso impulso ad una efficiente mobilità metropolitana di merci e passeggeri.

Bisogna integrare il sistema ferroviario con quello urbano, raccordare il carattere essenzialmente radiale del primo con anelli metropolitani, migliorare le caratteristiche del servizio soprattutto per le fasce utilizzate dai pendolari, renderlo attraente e confortevole per i cittadini, proporre formule tariffarie che ne incentivino l’utilizzo da parte dei cittadini per la normalità degli spostamenti.

Trasporti e bisogni del territorio

Si riafferma nella logica e nel merito il documento del F.A.R.E. (Ferrovie Alpine Ragionevoli ed Efficienti), che richiede una politica di sistema riferita alla pianificazione del territorio e delle sue risorse. La realizzazione per fasi descritta da FARE,che prende innanzitutto in considerazione i problemi del nodo di Torino, consente di affrontare le vere priorità, utilizzando al meglio la rete esistente e attivando ciascun intervento attraverso un accurato monitoraggio e verifica dei risultati raggiunti che consenta di capire se e quando procedere.

Come viene descritto nello Studio: nella FASE 0 si utilizza al meglio la rete esistente, avviando il Servizio Ferroviario Metropolitano (SFM) ed invertendo l’andamento del trasporto merci (da 10 anni in calo); nella FASE 1 si realizza la cintura merci di Torino per consentire ai treni merci di circolare tra Settimo Torinese ed Orbassano senza utilizzare il Passante ferroviario, favorendo così anche il passaggio alla seconda fase di attuazione dello SFM; nella FASE 2,  soltanto se e quando, secondo le previsioni attuali (anni 2018-2020), si potrà avere una saturazione della tratta metropolitana,  si potrà adeguare la linea da Torino ad Avigliana, aggiungendo binari o realizzando varianti di tracciato che evitino le zone più urbanizzate; nella FASE 3  soltanto se e quando (attorno al 2025) verrà confermata la crescita dei traffici e l’eventuale saturazione della tratta tra Avigliana e Bussoleno, si procederà al potenziamento della linea di bassa valle; nella FASE 4, soltanto se e quando venissero applicate tutte le politiche di trasferimento modale e quindi potesse verificarsi le condizioni di saturazione della linea di valico attuale, si potrà eventualmente procedere (2029-2030) a duplicare la tratta di valico.

Potenziare ovunque la rete ferroviaria collegata con le strade del mareIl trasporto ferroviario è adatto al trasferimento di merci pesanti a grande distanza. Può essere competitivo nei confronti del trasporto su camion solo se i bacini di raccolta e di distribuzione hanno raggi decisamente più piccoli della distanza tra i due estremi del percorso. L’attenzione andrebbe focalizzata sulle direttrici che portano dai porti italiani al centro dell’Europa, da Genova o La Spezia al Gottardo.

SEL concorda nel rendere più efficace e stringente il rapporto tra Regione Piemonte e Regione Liguria ponendo attenzione ad una corretta riqualificazione del porto di Genova contestualmente ad un rilancio degli altri porti liguri e delle vie di accesso agli stessi. Tuttavia si esprime forte preoccupazione per come le Regioni Piemonte e Liguria concordano nel procedere alla realizzazione di un’opera, quella del Terzo Valico che presenta più di un aspetto di debolezza. E’ bene che finalmente si aprano al più presto i cantieri del cosiddetto “Nodo ferroviario genovese” che prevedono il potenziamento delle linee e l’adeguamento tecnologico tra Voltri e Brignole. Allo stesso modo si ribadisce la necessità di recuperare e incentivare tutte le tratte di valico già esistenti, operando con raddoppi di linea dove necessario e tutelando, oltre alle merci i passeggeri “pendolari”, oggi tra i più penalizzarti in assoluto. Inoltre si ritiene importante aprire un confronto costruttivo con tutte la amministrazioni che hanno competenza rispetto al settore logistico e, in particolare ai cosiddetti “retro- porti”che per il momento possono anche svolgere solo funzioni di assemblaggio e “cambio trasporti” tra rotaia e gomma , ma che, in prospettiva, devono trovare altre destinazioni maggiormente compatibili con le nuove sfide dell’economia internazionale.

Sistemi ferroviari territoriali

Fare i conti col corridoio 24 significa in primo luogo prendere atto che l’avvenuta apertura al traffico ferroviario del tunnel di base del Lotechsberg e quelle, ormai prossime, del Gottardo e del Monteceneri hanno accelerato, e accelereranno, l’aumento dei traffici sulla direttrice nord-sud (molto di più che sulla direttrice est-ovest) con importanti ricadute sui quadranti nord-est ed alessandrino della regione.

E’ necessario in primo luogo attrezzare il corridoio con tratti di linea dedicata alle merci, sia per raddoppiare i binari essendo tratti importanti a binario unico, sia per l’attraversamento di alcuni agglomerati cittadini (Novara, ad esempio, è già oggi interessata da questa linea di attraversamento praticamente nel centro città). Si presenta in questo quadro la necessità, ma anche, e soprattutto, l’opportunità, di riorganizzare il rapporto nella mobilità di persone e merci, valorizzando il ricco patrimonio di ferrovie locali e trasformandolo in sistemi metropolitani territoriali attorno ai quali riorganizzare anche l’intero trasporto pubblico locale con funzioni diverse, rispetto alle attuali, del trasporto su gomma.

Quattro sistemi metropolitani, così concepiti, e una connessione, tra loro e con le grandi direttrici di traffico, rappresentano il terreno su cui scommettere e misurarsi nel rapporto (confronto-scontro) con FS e con la necessità di immettere nel sistema dati di competitività e di concorrenzialità finalizzati a perseguire il miglioramento sostanziale della qualità del servizio, in primo luogo per quelle migliaia di persone interessate al servizio stesso

  • Controllo del dissesto idrogeologico e difesa del suolo

Il Piemonte, come gran parte d’Italia, è soggetto agli effetti negativi del dissesto idrogeologico anche a causa di una urbanizzazione del passato che non ha tenuto in debito conto i rischi. A seguito delle grandi iniziative legislative nazionali (legge 183/89 e seg. sulla Difesa del suolo e del territorio e le integrazioni della legge con Sarno e Soverato  ) è iniziato un processo di riorganizzazione delle politiche idriche e territoriali in cui si afferma l’esigenza di una complessa gestione qualitativa e quantitativa della risorsa d’acqua e di suolo mirata alla sicurezza ed alla coerente assunzione  dei principi di sviluppo sostenibile. In tal senso va anche la Direttiva europea 2000/60 che, attraverso i Piani di Gestione,  individua nel Distretto Idrografico le capacità di affermare una politica di gestione (tecnica ed economica) dei bacini idrografici e degli ATO che tenga conto dei diversi aspetti di programmazione.

In sintonia con quanto sopra, ai fini della prevenzione dalle calamità occorre dare continuità a tutte quelle politiche avviate in questi anni verso un disegno di uso “corretto” del territorio e del suolo. L’attività di pianificazione va inquadrata e misurata con iniziative idonee a compensare i vincoli, ad incentivi per la delocalizzazione dei manufatti, ad iniziative in campo agricolo e forestale (idrologia vegetale, stabilizzazione) in modo da minimizzare l’intervento “hard” a favore di interventi di tipo ordinario o di ripristino di regimazioni scorrette e di prevenzione. Il concetto dell’uso del suolo come difesa permette di attenuare gli effetti devastanti anche in caso di eventi meteorici eccezionali. Queste trasformazioni dell’uso del suolo sono possibili con l’uso appropriato di incentivi o disincentivi economici. Lo stesso problema riguarda  gli ambiti fluviali e gli alvei che sono stati manomessi (accorciati, scavati e rettificati) col risultato di assicurare  protezione locale ma di aumentare la portata a valle e che ora  richiedono una sistematica revisione delle opere di regimazione . Occorre dare continuità a quei programmi che nel passato videro un forte protagonismo della Regione con il PTO (Piano Territoriale Operativo) insieme a quelli più recenti  avviati dall’AIPO in Piemonte sugli affluenti del Po. Interventi finalizzati ad una gestione razionale e sostenibile delle dinamiche fluviali  con l’obiettivo di mantenere nel tempo un assetto ottimale del corso d’acqua, garantendone il buon funzionamento sia dal punto di vista idraulico che ambientale.

Lo strumento fondamentale di programmazione degli interventi di difesa del suolo, pur con qualche necessità di ammodernamento, è e rimane  il Piano di Assetto Idrogeologico (PAI), che collega la programmazione delle opere piemontesi al più ampio contesto del bacino idrografico del Po. Elemento peculiare del PAI, per il Piemonte, è la possibilità di adattarlo nel tempo alle indicazioni di maggior dettaglio che derivano dai Piani territoriali di coordinamento provinciale e dai Piani regolatori comunali.

Il controllo e la riduzione degli effetti dei dissesti idrogeologici passa anche attraverso la conoscenza. In quest’ottica vogliamo dare nuovo vigore al proseguimento del progetto di cartografia geologia a scala 1:50.000 (Progetto CARG) che è in gran parte non completato sul nostro territorio.

In specifico  occorre:

  • Contribuire all’attuazione del PAI, in particolare delle misure che regolamentano gli usi del suolo, gli indirizzi e le prescrizioni per mantenere e migliorare le condizioni di funzionalità idraulica e morfologica dei corsi d’acqua
  • Sostenere la prosecuzione dei programmi di gestione per i torrenti piemontesi così come è avvenuto per l’Orco, il Pellice e il Chisone
  • Favorire l’integrazioni delle azioni per la difesa dalla inondazioni con azioni di recupero morfologico ed ambientale
  • Incoraggiare la collaborazione interistituzionale, attivando, nel rispetto dei ruoli e delle responsabilità, tutte le sinergie possibili e valide ai fini di un adeguato presidio del territorio in termini di difesa del suolo.
  • Rilanciare progetti sulle conoscenze delle risorse naturali e delle aree a rischio per ridurre gli impatti del dissesto idrogeologico;
  • Acqua di tutti

L’acqua è una risorsa essenziale di tutta la collettività.

Non può essere per nessuna ragione privatizzata e non può essere ad uso esclusivo di nessuno. Nessuna categoria economica può rivendicare un diritto di prevalenza sullo sfruttamento della risorsa idrica.

Nessun territorio può rivendicare esclusività nello sfruttamento della risorsa idrica.

Il prelievo della risorsa idrica da corpi idrici superficiali e sotterranei deve essere valutato sempre alla luce delle reali necessità e del massimo risparmio.

Va promosso il risparmio idrico nell’uso potabile, industriale e irriguo attraverso incentivi rivolti agli utenti per la dotazione tecnologica e l’ammodernamento degli impianti.

Si devono riportare i cittadini al consumo di acqua potabile dal rubinetto; vanno modernizzati i sistemi di potabilizzazione per migliorare le qualità organolettiche dell’acqua potabile.

In attesa del nuovo Piano energetico provinciale che definisca il reale fabbisogno energetico della Regione. In attesa di nuovi criteri per la definizione delle aree climatiche e della portata media dei corsi d’acqua, la Regione deve deliberare uno stop alle nuove concessioni di “piccolo idroelettrico” da nuove captazioni.

Al contrario, va incentivato lo sfruttamento idroelettrico da captazioni già esistenti per altri usi (acquedotti, usi irrigui, usi industriali etc.). Nel rispetto del principio che ogni derivazione deve essere “concessa” per usi plurimi.

Va promossa la modernizzazione del comparto irriguo incentivando produzioni agricole adatte ai climi e ai suoli dei territori. Non deve aumentare l’idroesigenza: semmai le produzioni devono adattarsi all’acqua disponibile.

Va rivisto il Piano di tutela della acque stralciando il capitolo sugli invasi di montagna. Il teme degli invasi va affrontato solo a seguito di un forte coinvolgimento delle comunità locali. Va anche affrontato il tema degli invasi di pianura su canalizzazioni già esistenti e dello sfruttamento delle acque di cava.

Il Pta deve prevedere sanzioni amministrative.

Vanno aperti tavoli operativi nei bacini imbriferi con gli amministratori locali, i consorzi irrigui e altre utenze, per predisporre le dotazioni tecnologiche e aggiornare le procedure organizzative per il rispetto delle Norme di Piano.

Le Province vanno stimolate a vigilare perché non si verifichino più asciutte dei nostri fiumi e ogni derivazione rilasci il quantitativo d’acqua necessario alla piena vitalità del fiume. L’Amministrazione deve vigilare sui ladri di acqua e assumere una linea di condotta chiara e univoca nel fare rispettare quanto prescritto dal Piano regionale di tutela delle acque.

Vanno finanziati i consorzi e le altre utenze per adeguarsi alla normativa che prevede l’applicazione dei misuratori di portata, l’adozione di passaggi artificiali per l’ittiofauna e la loro manutenzione, strutture per il rilascio del Deflusso minimo vitale.

Va aperta una nuova grande stagione di opere per il miglioramento della qualità delle acque per centrare l’obiettivo chiesto dall’Unione europea per il 2016.

  • Il ciclo integrato dei rifiuti

In Piemonte la gestione dei rifiuti ha fatto enormi progressi negli ultimi anni. Oggi la produzione dei rifiuti è inferiore alla media nazionale di quasi il 7% e le raccolte differenziate sono superiori di oltre il 20%. A fronte di questo scenario  nella nostra regione è possibile sviluppare un piano  molto ambizioso tale da farci primeggiare sulla scena nazionale. Banalmente basta assumere ad obiettivi regionali  quelli che le nostre province più virtuose si sono dati e stanno raggiungendo., ovvero una riduzione del 10% (472,5 kg/ab  anno ) e una percentuale di raccolta differenziata del 70% al 2015. E’ inderogabile, comunque, mettere in campo politiche di riduzione dei rifiuti con obiettivi significativi, sommando incentivi ed elementi prescrittivi.

Questi sono i presupposti a cui occorre rendere conforme il nuovo piano regionale di gestione rifiuti e il conseguente completamento degli impianti necessari compresi quelli per il recupero energetico.

4.  Sicurezza e qualità della vita per tutti

Le città appaiono sempre più ostili ed estranee, i luoghi pubblici stanno perdendo i connotati di luoghi di socializzazione, i legami sociali sono indeboliti, le paure aumentano. La gente nelle città del nord soffre forse più acutamente i disagi psicologici dovuti a incertezza, perdita di senso, senso di precarietà, perdita di appartenenza e di identità.

I cambiamenti sociali, i modelli culturali, la mercificazione che ha investito ormai anche i corpi delle persone, la solitudine in cui sono lasciate le  persone ci impongono una riflessione sul cosa fare. Ripensamento  che deve uscire dalle secche di generiche affermazioni di principio, per confrontarsi con una realtà completamente nuova in cui vecchie e nuove paure si intrecciano ai bisogni ed alle aspettative di una società matura e, per molti versi, timorosa di perdere i suoi tratti fondanti.

Non è facile trovare una soluzione ad una questione così complessa: sicuramente la paura non si  combatte né con l’individualismo esasperato né con gli sceriffi, le ronde e i proclami di guerra. Oggi occorre inventare nuovi strumenti  per contrastare l’azione di gran parte della destra che della paura fa la propria arma letale. La Regione forte del ruolo, assegnatole dal Titolo V,  può e deve essere elemento di rassicurazione dell’opinione pubblica.

La sicurezza delle persone è un bene che appartiene fortemente a tutti noi. Ogni giorno dobbiamo chiedere più legalità e rispetto dei diritti, preoccupandoci anche di quei reati che offendono la vita quotidiana dei cittadini.

Sicurezza e qualità della vita sono inscindibilmente legati.I bisogni collettivi di ambiente e salute  sono sempre più evidenti sebbene inevasi. Occorre quindi ridefinire i confini entro cui misurare le priorità di intervento e oltre i quali porre in atto strumenti di autodifesa della collettività da atteggiamenti e atti che ne minano la coesione e la pacifica convivenza. Un nuovo modello economico basato sulla cooperazione e sull’ equilibrio  deve  cambiare gli indicatori di benessere: dalla quantità alla qualità. Una qualità più alta di beni è compatibile con una qualità più alta del lavoro e dei diritti.

Qualità della vita significa essere messi, noi tutti, nella condizione di avere  garantiti quegli elementi di certezza sulla istruzione, sulla cura, sulla assistenza nei momenti del bisogno che ci derivano dall’essere produttori di ricchezza e finanziatori (per oltre il 70%) delle casse dello Stato. Certi servizi essenziali, come la Sanità o la Protezione civile o il monitoraggio seppur considerati come spese correnti, hanno un forte peso dal punto di vista strutturale. Visitare pazienti o produrre  cemento sono allo stesso modo moltiplicatori economici e sbaglia chi afferma che va ridotta la spesa in conto gestionale  a favore di quella in conto capitale. Produrre servizi invece che strade non giova  soltanto all’ambiente e alla persone, allo stesso modo è utile alla crescita economica del nostro Paese.

Qualità della vita  vuol dire consapevolezza della proprie radici e della storia costruita grazie al sacrificio dei tanti che ci hanno preceduto,  trasmettendoci grandi  valori come quelli dell’antifascismo e della Resistenza.

Qualità della vita significa diritto all’accesso ad una abitazione dai costi sopportabili, un lavoro retribuito in modo dignitoso, non precario e non pericoloso per la salute o per la stessa vita.

Qualità della vita significa prevenzione e perciò avere un territorio messo in sicurezza prima e non dopo il succedere di eventi climatici.

Sarà una società basata sulla conoscenza a sottrarci dal declino. Sarà una società più colta a  renderci ancora capaci di futuro. Una società più colta e più partecipe è anche più solidale e più capace di integrazione tra i differenti livelli multietnici. Può tentare di sopperire l’atrofia del discorso politico, un vuoto che riguarda tutti, non solo la politica.

“C’è anche qualcosa di più profondo, che non si trova ancora in nessun programma politico, cioè la necessità di cambiare le nostre vite, non soltanto nel senso della sobrietà, ma soprattutto nel senso della qualità e della poesia della vita.” (E.Morin)

  • Immigrazione

Il Piemonte sino agli anni ‘50 dello scorso secolo terra di emigrazione, ha conosciuto in seguito forti ondate immigratorie prima dall’est della penisola, poi dal sud e, negli ultimi decenni, dai paesi del sud del mondo e dell’est Europeo.

Ogni ondata migratoria ha prodotto tensioni sociali e forme di diffidenza nei confronti degli “stranieri” che nel tempo si sono  stemperate e assorbite attraverso percorsi di integrazione sociale e di partecipazione attiva alla gestione comunitaria da parte degli “ultimi arrivati”.

Integrazione, coinvolgimento e partecipazione sono le tre linee guida su cui la Regione Piemonte deve costruire  le sue politiche nei confronti dei cittadini che oggi sono stranieri e domani saranno parte integrante della nostra collettività.

Laddove si rilevino  problemi di devianza occorre mettere in atto tutti gli strumenti di contrasto o supporto  come il coinvolgimento diretto delle comunità straniere presenti sul territorio. E’ indispensabile poter far emergere e regolarizzare di chi non delinque e al contempo condurre una lotta dura contro i fenomeni mafiosi e paramafiosi che vivono  e proliferano alle e sulle spalle delle comunità di immigrati.

Le politiche di integrazione devono muoversi in contrasto con ogni forma di ghettizzazione come la forzosa concentrazione abitativa in alcuni luoghi delle città o la negazione di spazi decorosi per lo svolgimento di attività collettive, siano esse religiose o ludiche.

  • Cooperazione internazionale e politiche di pace

La passività del governo centrale riguardo le politiche di cooperazione allo sviluppo verso i Paesi del cosiddetto Terzo Mondo porta in primo piano l’importanza di una politica regionale degli aiuti strutturata ed efficiente. La cooperazione decentrata si è affermata negli ultimi anni come settore di estrema efficienza, grazie ad interventi di ridotte dimensioni e localmente mirati, più facilmente implementabili. L’efficienza di tale politica ha ricadute benefiche anche sul piano dell’immigrazione: nel supporto alle politiche di sviluppo dei Paesi di derivazione delle genti migranti, la prospettiva va inquadrata in funzione di una crescita diffusa che permetta ai diseredati globali di poter scegliere liberamente se e dove spostarsi, senza costrizioni di sorta.

Dal punto di vista, poi, delle politiche di pace, è essenziale la creazione di una politica regionale specifica, basata sull’aspetto educativo (anche con il sostegno del servizio civile nazionale) alle tematiche del dialogo tra le genti; la diversità non va negata, ma insegnata e posta come territorio di conoscenza, di incontro e scambio, in contrapposizione all’idea di conflitto che ogni giorno viene proposta da parti importanti della politica nazionale.

La delimitazione geografica che la dimensione regionale incarna può costituire un aspetto di notevole facilitazione nella comprensione dei fenomeni globali come vicini, non “altro da noi” ma parte integrante del mondo che ci circonda.

  • La nostra idea di sanità per tutti

SEL ribadisce il carattere pubblico della sanità regionale alla quale sono affidati i compiti di programmazione (di controllo e analisi dei flussi delle prestazioni private convenzionate),  rigorosa e programmata.

Consideriamo la sanità privata complementare a quella pubblica e non concorrenziale.

Pensiamo di incentivare e favorire la libera professione intramoenia per ridurre il ricorso alle cliniche private,per recuperare risorse economiche, nonché diminuire le liste d’attesa e essere condizione favorente la carriera dei medici ospedalieri.

Ecco le nostre proposte per l’organizzazione sanitaria:

  1. Riorganizzare e convertire i Piccoli Ospedali: a)favorendo la creazione di almeno una unità di Day suergery per ogni quadrante regionale,allo scopo di favorire la trasformazione dei ricoveri ordinari chirurgici in ricoveri a ciclo diurno con conseguente riduzione delle liste d’attesa per interventi maggiori e razionalizzare le risorse produttive impiegate mantenendo il massimo livello di assistenza. b)promuovere la creazione di Case della salute, e in difetto i Nuclei di cura primari con la contemporanea presenza di operatori socio-sanitari, medici specialisti ambulatoriali, servizi diagnostici di base e di ambulatori per prime ed elementari prestazioni di soccorso e per aumentare le prestazioni di medicina preventiva e l’assistenza domiciliare integrata.
  2. I vantaggi sono evidenti: dare maggiore e nuova dignità alla medicina del territorio, garantire la continuità assistenziale ,realizzare l’ntegrazione socio-sanitaria ,ridurre le liste d’attesa per esami e visite specialistiche, ridurre l’affluenza al Pronto Soccorso, favorire l’accesso alle prestazioni sanitarie alle fasce deboli della popolazione).
  3. Nuove norme per la nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie, e vincolare la nomina dei direttori di struttura complessa alle necessità e agli obiettivi della programmazione sanitaria regionale rendendo più difficile l’intrusione della politica o di fattori esterni nel processo di nomina dei primari, e nello stesso tempo dando più omogeneità, efficacia e appropriatezza all’attività sanitaria regionale.

Creare,inoltre,un tavolo di coordinamento dei direttori generali e dell’assessore regionale dove vengano definite e valutate periodicamente le linee guida e le direttive della programmazione regionale e i risultati acquisiti.

Ridurre se no abolire del tutto i vari Dipartimenti sanitari e creare Consigli dei sanitari aperti alle forze sociali (sindacati , enti locali, associazioni di volontariato) con veri poteri di governo clinico dell’azienda sanitaria .

  1. investire più risorse nei punti critici della sanità piemontese:
  • Malattie cronico-degenerative , alzheimer, assistenza domiciliare ,posti in RSA
  • Sicurezza del lavoro con maggiori controlli nei luoghi sensibili come i cantieri edili, e una forte formazione alle prevenzione degli infortuni.
  • Informatizzazione e messa in rete dei medici di medicina generale, di continuità assistenziale e ospedalieri.

Profili di salute, strumenti per costruire ben-essere.I principali problemi di salute richiedono lo sviluppo di vere e proprie politiche di prevenzione nel cui impianto i servizi di prevenzione devono avere un ruolo fondamentale, ma richiedono allo stesso tempo l’azione integrata di molti soggetti (istituzionali e non).Pertanto occorre operare affinché ci sia un reale coinvolgimento degli enti locali i quali, attraverso le loro espressioni di democrazia partecipata e delegata, pianifichino  e programmino azioni di tutela e promozione della salute.

Il sistema sanitario regionale inoltre dovrebbe comprendere il concetto di medicina olistica inteso come  scelta di cure che possono abbinare la medicina tradizionale alla medicina naturale.

  • Le nostre politiche culturali

L’importanza politica che noi attribuiamo alla cultura sta nel riconoscimento autonomo del suo valore sociale. A causa di una incontrollata strumentalizzazione della cultura, la politica italiana ha finito per impoverire pericolosamente il terreno destinato ad alimentarla.

Per noi la cultura nasce alla base, dal modo stesso con cui gli uomini e le donne entrano in rapporto fra loro e con la comunità provinciale e nazionale. Purtroppo lo sviluppo e la crescita anche del nostro territorio è passato sopra gli uomini e non attraverso gli uomini, si è servito di loro e non li ha serviti.

Occorre favorire uno sviluppo della cultura cominciando dalle radici, promuovendo cioè un processo di riaggregazione sociale, senza discriminazioni, attraverso un intervento programmatico sulle strutture, con la creazione di centri polivalenti, valorizzando il patrimonio esistente nella nostra Regione (dai piccoli musei storici artistici, agli ecomusei delle tradizioni, ai teatri, alle biblioteche) con la formazione di una rete di organizzazioni di base capace di suscitare un’autonoma domanda di cultura.

Stabilita questa distinzione si tratta di affrontare il problema, oggi più che mai maturo, di un nuovo rapporto con la cultura e la massa dei cittadini, se si vuole, tra la domanda e l’offerta di cultura.

Gli investimenti da parte della Regione hanno una duplice valenza: economica, per la ricaduta che  possono comportare sotto il profilo dell’occupazione, del turismo, dell’attività terziaria; sociale, perché si investe a livello delle coscienze per un modello di cittadino moderno e civile, che abbia al centro della sua ragione dell’essere i valori dell’uomo, dei suoi bisogni, delle sue aspirazioni;perché senza un miglioramento della qualità culturale dei territori non ci sarà futuro per il Piemonte.

  • Le politiche sociali

La crisi economica ha accentuato le situazioni di disagio sociale, allargando la platea dei cittadini che rischiano di precipitare sotto la soglia di povertà. Ormai anche una consistente parte del lavoro dipendente è nella condizione di non poter  fronteggiare situazioni impreviste legate alla salute, alla vita dei figli, alle questioni abitative.

Queste persone presentano un maggior rischio di mortalità, malattia, disabilità e stili di vita rischiosi. I disagi delle famiglie accentuano la necessità di interventi per i minori, i disabili, gli anziani non autosufficienti. Le risposte dell’attuale governo sono quasi nulle, inefficaci, discriminanti tra poveri e più poveri, addirittura offensive.

Occorre mantenere e potenziare, per queste fasce di popolazione indigente (o a rischio indigenza), azioni di contrasto alla povertà tramite politiche che abbiamo già in parte proposto nel capitolo dedicato all’uscita dalla crisi. Politiche:

  • per il lavoro e contro la precarietà;
  • per la salute e l’accessibilità di tutti ai servizi sanitari;
  • per la casa e il sostegno dei costi dei servizi quali riscaldamento, luce e gas;
  • per l’integrazione degli stranieri e per permetterne la permanenza nel mondo del lavoro.

Riteniamo necessario definire un testo unico delle politiche sociali sia nel campo assistenziale che  in quello della promozione e del sostegno dei diritti di cittadinanza in Piemonte, attraverso cui rendere trasparenti, organici e certi su tutto il territorio della Regione gli interventi economici.

  • Pari opportunità

Per quanto riguarda le politiche attive per le pari opportunità, Sinistra Ecologia Libertà è impegnata, in accordo con le direttive dell’unione Europea e delle organizzazioni internazionali, innanzitutto a sostenere il gender mainstreaming, che assume la prospettiva di genere come asse trasversale in tutte le politiche e le attività normative e di governo.

In particolare, è’ necessario garantire una equilibrata presenza e rappresentanza di donne e uomini nella classe politica attraverso un’adeguata legge elettorale regionale, che imponga meccanismi di pari opportunità di accesso alle assemblee elettive; occorre inoltre una regolamentazione dei criteri di nomina dei rappresentanti istituzionali negli enti di partecipazione, amministrazione e controllo.

Un ambito di particolare attenzione è il rapporto donne e lavoro: l’impegno di Sinistra Ecologia Libertà è rivolto ad attuare politiche regionali che favoriscano l’occupazione femminile e la crescita professionale delle donne; che combattano le discriminazioni di genere nel mondo del lavoro; che riconoscano il valore sociale della maternità e non obblighino le donne a scegliere tra maternità e lavoro.

Sinistra Ecologia Libertà si impegna inoltre a tutelare le minoranze e a promuovere leggi contro le discriminazioni per motivi religiosi, culturali e di orientamento o identità sessuale.

Sinistra Ecologia e Libertà si impegna a favorire in tutti i modi il riconoscimento delle coppie e delle famiglie di fatto , etero e omosessuali. Ciò significa individuare in tutte le politiche amministrative sociali, sanitarie, abitative, etc la possibilità di indicare per quelli che possono essere i poteri della regione le soluzioni più avanzate  per appoggiare queste coppie.

Nel campo delle politiche educative e culturali ci batteremo perché la Regione, come già in parte è stato, si faccia promotrice di azioni positive contro le discriminazioni: dalla tutela della libertà religiosa al rispetto delle minoranze linguistiche autoctone e migranti, dal sostegno alle tante attività delle Associazioni lgbt piemontesi al sostegno al Festival del cinema lgbt, alle produzioni culturali.

Non va dimenticata inoltre la condizione delle persone transessuali, ancora oggi discriminate al punto da vivere “ai margini della società”. Un’attenzione particolare va quindi dedicata a interventi di sostegno a queste persone.

In particolare negli anni a venire bisognerà cominciare a occuparsi della promozione della consapevolezza e dei diritti lgbt e nel dialogo interculturale col mondo della immigrazione.

  • Politiche giovanili – Scuola e lavoro

Le politiche giovanili passano in gran parte attraverso la scuola, e la riforma Gelmini rischia di vanificare quanto è stato fatto finora creando un buco nero per il futuro; situazione che certamente aggraverà il fenomeno degli abbandoni scolastici, già oggi assestati su livelli preoccupanti. In questo contesto occorre che tutti gli sforzi del sistema degli enti locali attivino sinergie per ottimizzare e potenziare il sostegno all’orientamento scolastico, all’accesso e frequenza dello studio, alla prevenzione dei fenomeni di devianza (bullismo ecc.).

Particolarmente delicato per i giovani è il successivo passaggio dalla scuola al mondo del lavoro: un sistema vizioso intrappola spesso i giovani in un susseguirsi di forme lavorative non riconosciute o non rappresentative della realtà. La politica Regionale deve incentivare le forme contrattuali più stabili, disincentivando invece quelle più precarie o addirittura quei meccanismi scorretti per aggirare la contrattualizzazione dei giovani. Il mondo degli “stagisti eterni” è un esempio significativo di lavoratori non riconosciuti e non tutelati che non trovano ad oggi neanche una rappresentanza sindacale su cui appoggiarsi.

  • I giovani e lo sport

Con la scuola e le politiche culturali e sociali, lo sport è uno dei capisaldi delle politiche giovanili per cui la mancanza di una cultura sportiva ha creato un gap enorme tra il nostro paese è le altre nazioni europee.

Per questa ragione è necessario coordinare e potenziare gli strumenti da mettere a disposizione dell’associazionismo che, agendo non in una logica di mercato , rendono alla portata di tutti lo svolgimento delle diverse discipline sportive, comprese quelle cosiddette minori.

Una maggior pratica sportiva da parte di tutti i cittadini ha un riscontro economico in un risparmio da parte della sanità pubblica; quantificando in un recente studio condotto in Norvegia in una semplice equazione: 1% in più di praticanti sportivi, 2,4% di diminuzione delle spese per la sanità.

Lo sport, in questi ultimi anni, è stato trascurato dalla sinistra pur riconoscendo a parole a quel mondo un ruolo importante, ed è necessario che ora si riparta dal territorio per reinventare un ruolo attivo dell’ente locale come coordinatore delle attività sportive, all’interno di impianti, anche scolastici, che devono essere aperti all’uso di tutti.

  • Il ruolo dell’associazionismo

Le realtà associative costituiscono un presidio territoriale essenziale per favorire momenti di aggregazione tra i giovani e contribuiscono allo sviluppo di una coscienza critica attraverso percorsi di democrazia partecipata. La sopravvivenza di queste realtà è però legata al sostegno delle istituzioni locali che peraltro trovano nell’associazionismo un valido supporto per attività di carattere sociale, culturale ed economico, andando talvolta a colmare deficit dell’apparato pubblico dovuti alla carenza di risorse degli enti territoriali.

Torino, 8 marzo 2010

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