Ricominciamo a lavorare

15 years ago by in Articoli, SEL: c'è un'Italia migliore Tagged: , , , , , , , , ,

di Elena Chinaglia

La Sinistra torna a fare inchiesta, torna nei luoghi di lavoro, chiede e ascolta. Lavoratrici e lavoratori, che votano a sinistra o che non hanno votato, giovani e non, iscritti al sindacato o senza tessera, con contratti ed esperienze diverse, specchio della frammentazione del mondo del lavoro. Torino, Roma, Taranto. In modo semplice, quasi grezzo, come una volta. Una ricerca nata in Sinistra Democratica, dal gruppo regionale del Piemonte, e oggi patrimonio di Sinistra e Libertà.
Una domanda: Pensi che in questo periodo i partiti politici italiani affrontino in modo adeguato i problemi del lavoro? oppure pensi che potrebbero fare di piú? Una domanda che è diventata per i partecipanti: come i partiti hanno risposto alla crisi e quale partito si vorrebbe per difendere gli interessi di chi lavora,  perché nel frattempo è piombata la crisi a sconvolgere le vite.
Le risposte a questa domanda – sostiene Francesco Garibaldo, curatore, con Emilio Rebecchi, della ricerca – sono differenti nelle tre città: a Torino vi è la richiesta di un serio partito socialdemocratico classico, centrato cioè sui lavoratori e le lavoratrici e con una scarsa attenzione al problema delle alleanze; a Roma si vorrebbe il ritorno a un partito come il PCI, cioè un partito popolare e di massa; a Taranto, infine, manca completamente l’idea di una rappresentanza politica generale, che viene sostituita da una logica di lobby, anche il Lavoro insomma deve avere una sua lobby, anche se sembra sobbollire in città un vero e proprio “sentimento rivoluzionario”, cioè la crescente disponibilità soggettiva a un vero e proprio rovesciamento della società.
Difficoltà maggiori nell’individuare il che fare, per l’atavica persistenza di forme di dipendenza, anche nella critica più radicale, dal ruolo dei gruppi dirigenti della sinistra, unici titolati a fare delle proposte. Una critica aspra: sono i partiti di sinistra che mancano al loro dovere e sono essi stessi corresponsabili della crisi e delle difficoltà che colpiscono chi lavora; inoltre gli eletti  non rispondono di ciò che fanno e hanno, in genere, un tenore di vita troppo elevato che fa loro velo alla comprensione della situazione di coloro che vivono una vita normale, con tutte le difficoltà connesse.
A differenza dei partiti il sindacato, pur criticato, viene difeso e considerato il difensore dei lavoratori. Il fatto che sia sempre più costretto a un ruolo di supplenza dei partiti, assenti su troppe questioni rilevanti, viene visto come un’anomalia che non giova al sindacato.
Donde origina la crisi sociale e politica nella quale viviamo? Si oscilla tra una spiegazione di tipo antropologico, prevalente a Torino e Taranto, che mette in primo piano le differenze generazionali e gli effetti del consumismo, e una più politica, a Roma. Si sottolinea ovunque il prevalere della competizione e della difesa individuale sulla solidarietà. In tutti i casi la mancanza di una “sponda politica” alle lotte sociali e ai problemi di chi lavora è vissuta con angoscia e vi è una valutazione drammatica delle sue possibili conseguenze.
Da ciò si deduce che bisogna cambiare tutti i politici, con poche eccezioni, e puntare sui giovani. I giovani vengono indicati come la speranza di un cambiamento e dove i giovani sono stati prevalenti, come in un gruppo a Torino, la discussione ha avuto caratteri più radicali nel sottolineare l’esigenza di un immediato e drastico cambiamento della politica.
Secondo Luciano Gallino, questa ricerca fornisce delle indicazioni precise su quello che un partito di sinistra dovrebbe fare. Nel mondo del lavoro si è spezzata l’unità di tetto, di padrone e di rapporti di lavoro e ciò ha sconvolto la capacità di rappresentanza dei sindacati e messo in crisi i partiti di sinistra. Come ricomporre queste unità? Ad esempio con una legge sul lavoro che preveda un solo tipo di contratto di lavoro dipendente, con poche e specifiche deroghe; costruendo un partito che stia a fianco del sindacato, che ne rifletta e supporti le istanze; un partito che abbia il coraggio di parlare di redistribuzione del reddito, affrontando anche i temi fiscali; che rivendichi un “lavoro dignitoso”, che si articola in specifiche sicurezze, di reddito, di occupazione, di riconoscimento professionale, di pensionamento, ecc.; che intervenga sulle privatizzazioni, nella difesa del bene pubblico.
Sono evidenti le molte cose che si dovrebbero assolutamente fare, ma la difficoltà principe sta nella distanza abissale dai voti necessari per farle.
Il tema del partito senza voti viene ripreso da Nichi Vendola, che lo declina così:
un partito senza popolo, un popolo senza partito,
un partito senza classe, una classe senza partito,
un popolo senza classe.
O meglio, tanti popoli senza partiti e una sequela di partiti senza popolo, senza voti.
Il bilancio dell’ultimo trentennio mette in mostra la sconfitta di tutte le ipotesi politico culturali della sinistra e quindi è arrivato il momento, nell’impossibilità di comporre le nostre autobiografie, di rilassarci per discutere del nostro ieri a partire dalle esigenze dell’oggi e dalla prospettiva del domani. Il compito della sinistra è connettere la crisi democratica con quella sociale, e oggi non siamo in grado di farlo. Non siamo in grado di costruire un racconto, di inanellare queste cronache marginali da un mondo senza racconto, combattendo lo spaesamento totale – il dato più pregnante che emerge dall’inchiesta – il ritrovarsi senza paese, in un altrove incomprensibile.
Perché oggi la politica è emigrata fuori dal tema del lavoro e questo genera tra i lavoratori un sentimento di abbandono. Occorre ricostruire la trama e i luoghi del racconto. Occorre rimettere al centro il lavoro.
Una sinistra moderna deve assumere come elemento fondante la rappresentanza politica del lavoro, riprende Titti Di Salvo.
E questo monito – credo – chiama in causa “tutta” la sinistra, senza se e senza ma.

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