Una corsa contro il tempo che l’Italia, a dispetto dei pronostici, “rischia” di vincere. Una scommessa, quella del digitale, che è premessa di crescita per il Paese e solida base per creare nuovi posti di lavoro e ritrovare la produttività perduta. Il piano banda ultralarga (Bul), presentato con il governo Renzi e proseguito con quello Gentiloni, ha messo fine a interventi insufficienti, non spalmati su tutto il territorio e ha fatto convergere le risorse dello Stato e delle Regioni a sostegno di un’unica strategia nazionale. Fino al 2014 l’Italia arrancava in tema di connettività, rassegnata a potenziare con finanziamenti a fondo perduto la rete in rame dell’incumbent e disposta a gettare la spugna prima ancora di provare a raggiungere gli obiettivi dell’Agenda europea 2020. Prevaleva la convinzione che gli investimenti privati insufficienti fossero dettati non già dalla mancanza di concorrenza ma dall’assenza di domanda.
Con il piano Bul, approvato il 3 marzo 2015 dal Consiglio dei ministri, si fissano obiettivi sfidanti per portare la fibra direttamente nelle case (velocità di connessione a 30 Mbps a tutta la popolazione e oltre 100 Mbps ad almeno l’85% del territorio entro il 2020), si indicano tappe e strumenti da utilizzare per raggiungerli.
Con la delibera Cipe del 3 agosto, si individuano anche le risorse che raggiungono nel complesso 7 miliardi di euro. Si decide di investire risorse pubbliche per creare una rete pubblica là dove gli investitori privati non sono disposti ad investire. Con consultazioni pubbliche si individuano le aree a fallimento di mercato in oltre 7.300 comuni per un totale di 13 milioni di cittadini interessati e 8,2 milioni di unità immobiliari da connettere. Successivamente si predispongono bandi pubblici affinché si crei una infrastruttura abilitante i servizi in banda ultralarga, premessa necessaria per la sperimentazione del 5G ovvero della tecnologia mobile di nuova generazione. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: torna la concorrenza in un mercato dove prima non c’era, si risparmiano soldi pubblici, oltre 1 miliardo di euro, nei primi due bandi rispetto alle previsioni e si inizia un recupero sui principali partner europei.
Nel complesso, queste le risorse per l’insieme degli interventi: 5 miliardi di euro di fondi pubblici nazionali. 3,5 miliardi provenienti dal Fondo sviluppo e coesione (FSC 2014-2020), di cui 2,2 miliardi già assegnati da delibera CIPE del 3 agosto 2015 per l’intervento nelle aree bianche a fallimento di mercato. 1,8 miliardi di € da programmi operativi (Regionali e Nazionali) 2014-2020 tra cui 230 milioni di € dal Programma Operativo Nazionale Imprese e Competitività (2014-2020).
Oggi, finalmente, l’indice Desi 2007, redatto dalla Commissione europea, fotografa un’Italia che dal punto di vista della connettività cresce più della media europea.