Per Lorenzo, per Gabriele, per tutte le vittime della strada. Per le loro famiglie e i loro amici. La legge sull’omicidio stradale, richiesta da molte associazioni e attesa da tempo dai cittadini, finalmente è realtà.
Siamo passati dalla certezza dell’impunità alla certezza della sanzione penale, rivoluzionando il peso delle responsabilità a carico di chi, dopo aver commesso violazioni gravi, tra cui l’abuso di alcol e droga, uccide sulla strada. Lo avevamo detto, lo abbiamo fatto.
A 15 mesi dall’entrata in vigore della legge ci sono stati 25 arresti per omicidio stradale in flagranza e 410 denunciati. E dopo la legge, i controlli. Imponente è stata la campagna straordinaria di verifica sulle condizioni psicofisiche di chi guida: 38.936 conducenti controllati con “precursori alcoltest” e 2.753 sottoposti anche a verifiche sulla presenza di droghe. Un altro impegno mantenuto.
Con le nuova legge l’omicidio stradale è divenuto un reato a sé, graduato su tre varianti. Resta la pena già prevista oggi (da 2 a 7 anni) nell’ipotesi base, quando cioè la morte sia causata violando il codice della strada. Ma le pene previste salgono sensibilmente negli altri casi: chi uccide guidando ubriaco (tasso tra 0,8 e a 1,5 grammi per litro) e commettendo gravi imprudenze rischia da 5 a 10 anni di carcere mentre ancor più gravi sono le pene (reclusione da 8 a 12 anni) previste in stato di ebbrezza grave o sotto l’effetto di droghe.
La pena può però aumentare fino a 18 anni di carcere se a morire sono più persone, e sono state previste conseguenze pesantissime per chi si dà alla fuga o per chi guida senza patente o senza assicurazione. Rimane l’allarme sociale di fronte alle troppe vite spezzate e auto fuggite. Macchine che, nelle mani sbagliate, diventano armi. Oltre all’educazione, anche norme precise e pene certe servono a fare buoni cittadini.