L’articolo 83 della Costituzione può essere considerato, già nella sua redazione attuale, una disposizione di grande rilevanza sistematica per il nostro ordinamento. Questo prevede, difatti, le modalità di elezione del Presidente della Repubblica. Prima di affrontare il tema delle modifiche, bisogna segnalare un aspetto che la riforma, scientemente, non tocca. Il Presidente della Repubblica viene, e continuerà ad essere, eletto da entrambi i rami del Parlamento, riuniti, come si dice, in “seduta comune”. Le motivazioni che stanno alla base di questa previsione sono molteplici, la principale delle quali è che il Capo dello Stato rappresenta l’unità Nazionale, ed è giusto che sia il Parlamento tutto ad eleggerlo.
L’attuale testo dell’articolo 83 prevede che all’elezione partecipino, oltre ai componenti di Camera e Senato, anche i delegati regionali, per legittimare ulteriormente il Presidente della Repubblica, rendendolo anche espressione delle autonomie territoriali.
La riforma innova l’articolo 83, non modificandone il senso profondo. Il secondo comma – il quale prevede la partecipazione dei delegati regionali – viene abrogato, in virtù del fatto che sarà il Senato, secondo quanto stabilito dalla riforma, a rappresentare gli Enti territoriali, anche in questa occasione. La legittimazione del Capo dello Stato viene, dunque, salvaguardata, poiché all’elezione parteciperanno non solo i rappresentati politici nazionali, ossia i deputati, ma anche quelli territoriali, ossia i componenti del Senato della Repubblica.
La riforma costituzionale interviene sul terzo comma, modificando le modalità di elezione del Presidente della Repubblica. Come già scritto in un precedente articolo la Costituzione riformata, come quella attuale, prevede che per le prime tre votazioni il Presidente debba essere eletto dai 2/3 del Parlamento in seduta comune – dunque 487 voti. Secondo l’attuale disposto, “dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta”, ovvero la metà più uno. La riforma prevede invece che dal quarto al sesto scrutinio il quorum necessario sia i 3/5 dei voti degli aventi diritto – 438 voti -, dal settimo scrutinio in poi i 3/5 dei votanti effettivi e non dei componenti.
La domanda è: potrebbe il PD, o il M5S o Forza Italia o qualsiasi altro partito eleggersi da solo il Presidente della Repubblica? La risposta è, evidentemente, no. Non apparirebbe logico, difatti, che le opposizioni, per impedire l’elezione di un Presidente a loro non gradito, non partecipino all’elezione, perché permetterebbero, in questo modo sì, di eleggere paradossalmente quel Capo dello Stato al quale intendono opporsi. La riforma, evidentemente, aumenta il quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica – fatta eccezione di un alto livello di astensione,improbabile e senza precedenti.
Le critiche, pregne di retorica, mosse al nuovo articolo 83 appaiono sterili, nonché strumentali, anche per un altro motivo: vista la grande importanza di questo appuntamento istituzionale alle elezioni del Presidente partecipa in media il 98,5% degli aventi diritto. Questo vuol dire, in buona sostanza, che intercorrerà una differenza minima e trascurabile tra la maggioranza richiesta dal quarto al sesto scrutinio – i 3/5 dell’assemblea – e quella necessaria dal settimo scrutinio – i 3/5 dei votanti -.
Conti alla mano, dunque, con la Costituzione riformata la maggioranza dovrà necessariamente condividere la scelta con una parte rilevante delle opposizioni. Più di quanto sia accaduto nel passato.