Uno dei punti più importanti e innovativi della riforma costituzionale è, sicuramente, l’eliminazione di quello che viene definito bicameralismo “paritario”. La materia è complessa, andiamo con ordine. Spesse volte il sistema viene definito anche “perfetto”, sebbene nei suoi effetti concreti tanto perfetto esso non appaia.
La riforma si propone di velocizzare l’iter legislativo, senza mai perdere di vista il sistema di pesi e contrappesi, rimasto invariato rispetto all’originaria redazione della Costituzione.
L’articolo 70 della Costituzione, nella sua versione pre-riforma, stabilisce che “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Un principio semplice e conciso, come fanno notare i sostenitori del No. Eppure dietro tanta semplicità si cela la confusione: per far approvare una legge, c’è bisogno che entrambe le Camere si esprimano favorevolmente sullo stesso testo, identico persino nelle virgole. E finché questo non avviene, la legge non può essere approvata.
C’è poi da aggiungere che, durante la storia repubblicana, tale “parità” è stata aggirata un numero smisurato di volte: maxi articoli, maxi emendamenti, canguri e canguretti sono solo alcuni degli strumenti che regolamenti e prassi parlamentari hanno teorizzato per ovviare alla eccessiva rigidità del bicameralismo paritario.
Se volgiamo lo sguardo al passato, il bicameralismo paritario trova la propria ragion d’essere nell’esigenza di ponderare ogni scelta, di contemperare pedissequamente ogni singolo interesse. Dopo la dittatura fascista e con il
rischio che altre forme di autoritarismo si instaurassero, era del tutto comprensibile. Ma i tempi sono cambiati, e le società e gli assetti politici mondiali altrettanto. Sarebbe attuale mantenere in vigore un sistema disallineato rispetto al contesto in cui è chiamato ad operare? Certamente no.
Per questo motivo, la riforma compie un gigantesco passo in avanti: definisce le competenze delle due Camere, rispettando le nuove funzioni di queste, e sopprime il polveroso bicameralismo paritario.
Il disposto dell’articolo 70 si divide, sostanzialmente, in due parti: la prima, che stabilisce puntualmente quali sono le leggi la cui approvazione permane bicamerale, e la seconda, che stabilisce la competenza esclusiva della Camera rispetto all’approvazione di tutte le altre leggi.
La domanda che alcuni si pongono è: perché non eliminare direttamente la possibilità, per il Senato, di intervenire nel procedimento legislativo? Per un motivo molto semplice. Se il Senato diviene camera delle autonomie, è coerente con il nuovo assetto istituzionale che questo abbia la facoltà di esprimersi in maniera vincolante sulle leggi che incidono sugli enti territoriali.
Un esempio: il primo comma dell’articolo 70 stabilisce che debbano essere approvate da Camera e Senato le leggi di cui l’articolo 119, sesto comma, le quali riguardano il patrimonio degli Enti locali. È evidente che il senso di questa previsione, come delle altre, sia quello di sottoporre al vaglio del proprio organo di rappresentanza tutte le decisioni che incidano sulla vita quotidiana degli Enti locali. Al Senato viene anche permesso di inserirsi nell’approvazione di quella categoria di leggi che potremmo definire, kelsenianamente, “fondamentali”: leggi di revisione costituzionale e leggi costituzionali. Queste intervengono non solo a livello nazionale, bensì anche a livello locale, ed è giusto che il Senato abbia la possibilità di legiferare a pieno titolo.
Per le leggi la cui approvazione viene demandata esclusivamente alla Camera dei Deputati, l’articolo 70 stabilisce che il Senato abbia la possibilità di esaminare il testo approvato dalla prima, entro 10 giorni, ove ne faccia richiesta 1/3 dei propri componenti. Una volta esaminato il testo, il Senato può presentare osservazioni e proposte di modifica entro 30 giorni. Concluso questo procedimento interlocutorio, alla Camera spetterà l’ultima parola sul testo di legge.
Sono poi previsti due meccanismi rinforzati di consultazione del Senato: per le leggi di attuazione dell’articolo 117, quarto comma, e per le proposte di modifica della legge di bilancio. Per le prime si stabilisce che la Camera, ricevute le proposte del Senato votate a maggioranza assoluta, per rifiutare debba anch’essa raggiungere la maggioranza assoluta dei votanti. Per la legge di bilancio, invece, il nuovo articolo 70 differisce il termine entro il quale il Senato è legittimato a presentare modifiche da 10 a 15 giorni. Il Senato, infine, manterrà la facoltà di svolgere attività conoscitive ed inchieste.
Da una parte, quindi, un principio chiaro in teoria, aggirabile ed aggirato in pratica, dall’altra un testo che pone fine al meccanismo della navetta e riporta chiarezza nel procedimento legislativo.
Se si passa dal piano teorico a quello operativo la sostanza non cambia, poiché i dati danno una chiara indicazione di come l’applicazione dell’attuale articolo 70 renda il procedimento legislativo lento e farraginoso. Uno studio del Senato sull’attività legislativa della XVI legislatura dimostra come, in media, i disegni di legge di iniziativa parlamentare impieghino, per essere approvati, 256 giorni al Senato e 274 alla Camera. Per ogni legge si attendono 1 anno e 165 giorni. Se, invece, si prendono in considerazione i progetti di legge presentati dal Governo, l’approvazione è decisamente più rapida: 45 giorni al Senato, 35 alla Camera. Poco più di due mesi, dunque.
Per tutta la storia repubblicana abbiamo assistito alla discutibile prassi sulla base della quale il Governo, attraverso quella che viene definita decretazione d’urgenza, ha via via eroso le competenze del Parlamento, sostituendosi in buona misura a questo nell’attività legislativa. La conseguenza di questa impropria avocazione di competenze è sotto gli occhi di tutti: leggi redatte in un unico articolo, spesso composto da centinaia di commi, poco chiare e di difficile comprensione, anche per gli addetti ai lavori.
Questa riforma centra il difficile obiettivo di conferire nuovamente dignità al Parlamento, di modo che questo torni ad esercitare in via esclusiva, salvi i veri casi di necessità ed urgenza, la funzione legislativa. Una descrizione precisa e puntuale del procedimento legislativo impedirà che quanto stabilito in Costituzione venga aggirato. In definitiva, un Parlamento più stabile, credibile ed efficiente.