La riforma costituzionale è pervasa trasversalmente da un obiettivo ben preciso: rendere le istituzioni più sobrie e credibili, eliminando alcune delle enormi problematiche che l’applicazione pratica della Costituzione vigente ha comportato.
Spesso, nella storia Repubblicana, abbiamo assistito alla pratica deplorevole di considerare le istituzioni come un luogo di svago, decisamente ben retribuito. La riforma cerca di porre un freno a questa prassi.
Molti interventi presenti nella riforma sono diretti a conseguire questo obiettivo, come l’obbligo di partecipazione alle sedute della Camera, l’eliminazione delle indennità dei senatori ed i limiti agli emolumenti corrisposti ai consiglieri, e ai consigli, regionali. Tali previsioni costituiscono solo alcuni degli strumenti attraverso cui questa revisione costituzionale cerca di rendere, compatibilmente con il limite dell’efficienza, le istituzioni più sobrie e, di conseguenza, più credibili.
Un intervento da prendere in considerazione è quello operato sull’articolo 63. Originariamente, il disposto dell’articolo 63 stabiliva che ‘ciascuna camera elegge fra i suoi componenti il Presidente e l’Ufficio di presidenza’, specificando al secondo comma che ‘quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, la Presidenza e l’Ufficio di presidenza sono quelli della Camera dei deputati’.
Può sembrare, questa, una disposizione di carattere eminentemente procedurale, poiché, nella redazione attuale, si limita a disciplinare le conseguenze di carattere organizzativo della riunione del Parlamento in seduta comune. La riforma innova profondamente il disposto dell’articolo 63, mantenendo invariata la previsione originaria ma aggiungendo, tra i due commi, un comma ulteriore.
Il nuovo articolo 63 della Costituzione dispone che ‘il regolamento stabilisce in quali casi l’elezione o la nomina alle cariche negli organi del Senato della Repubblica possono essere limitate in ragione dell’esercizio di funzioni di governo, regionali o locali’. Le conseguenze pratiche derivanti da questo nuovo comma sono di notevole importanza.
Tenendo sempre presente che il nuovo Senato sarà composto dai rappresentati degli enti locali, si deve ragionare nel seguente modo: può un consigliere regionale, o un Sindaco, in ragione dei propri impegni, ricoprire la carica di senatore in modo produttivo ed efficiente? È sulla base di questo interrogativo, da risolversi necessariamente caso per caso, che si è deciso di inserire il nuovo comma dell’articolo 63. Questa disposizione costituzionalizza un principio, potremmo dire, di efficienza e partecipazione, e stabilisce che il regolamento del Senato debba prevedere meccanismi di valutazione dei senatori, funzionali a stabilire se questi possano, effettivamente, ricoprire in maniera produttiva il proprio ruolo, oppure se ‘in ragione dell’esercizio di funzioni di governo regionali o locali’ risulti impossibile che ciò avvenga.
È importante, nonostante possa sembrare residuale, che il II comma dell’articolo 63 preveda una siffatta valutazione rispetto ad ogni carica ricopribile ‘negli organi del Senato della Repubblica’, perché in questa maniera si è adottata una precauzione rispetto alla possibilità di aggirare la disposizione.
È questione di coerenza istituzionale: se un consigliere non è in grado di ricoprire il ruolo di senatore è giusto che venga sostituito da chi abbia la possibilità di rendere giustizia a questo ufficio. L’articolo 63 dimostra che la riforma si è posta, e ha risolto, l’unico vero problema di “sovraccarico” di impegni esistente: quello tra la carica di Sindaco e consigliere regionale, e quello negli organi direttivi del Senato. Non c’è invece alcun problema per i senatori “semplici”, anche perché saranno poche le materie su cui il Senato dovrà intervenire in modo pieno.