Premessa
Nella settimana l’aula della Camera ha approvato una mozione sulla maternità surrogata e ha ascoltato l’informativa della ministra Lorenzin sull’applicazione della legge 194 in relazione all’accoglimento del ricorso della Cgil da parte del Consiglio d ‘Europa: su entrambi i punti segue il dettaglio al punto successivo.
Mozioni Lupi ed altri n. 1-01195, Carfagna ed altri n. 1-01187, Roccella ed altri n. 1-01218, Spadoni ed altri n. 1-01223, Dellai ed altri n. 1-01225, Rondini ed altri n. 1-01226, Vezzali e Monchiero n. 1-01227, Rampelli ed altri n. 1-01228, Nicchi ed altri n. 1-01230 e Palese ed altri n. 1-01233: Iniziative, in ambito nazionale e sovranazionale, per il contrasto di tutte le forme di surrogazione di maternità
La complessità di un argomento così delicato difficilmente si presta ad essere costretta nel formato rigido della mozione parlamentare che è tecnicamente un atto di indirizzo per il Governo. Anche per questo la scelta che ha fatto il Partito Democratico è stata quella di costruire una mozione in cui nominare le diverse opinioni che su un argomento così complicato esistono, tra le persone, nelle forze politiche, nella società e sui diversi piani su cui esistono. Il primo degli impegni richiesti al Governo è quello dell’apertura di un confronto sulla base della risoluzione del parlamento europeo, più articolata del divieto di maternità surrogata previsto dalla legge 40. La mozione è stata discussa perché alcune forze politiche hanno chiesto di farlo in relazione alla prossima approvazione del disegno di legge sulle unioni civili. Noi non avremmo fatto questa scelta per due ragioni: la prima è perché la gestazione per altri, secondo la terminologia della Corte dei diritti umani, o la maternità surrogata, secondo la terminologia usata dalla legge 40, riguarda soprattutto le coppie eterosessuali. Ma c’è anche un altro motivo, molto più importante: perché a nostro avviso la legge sulle unioni civili che approveremo la prossima settimana rappresenta un traguardo storico, il riconoscimento di diritti a persone legate da vincoli d’amore.
Dietro al bisogno non realizzabile di genitorialità c’è una vera sofferenza che non si può non ascoltare, non si può restare ciechi, sordi o muti né si può immaginare che semplicemente possa essere ignorato, dal diritto oltre che dalla società.
Ma mai è possibile immaginare che a quella sofferenza si possa rispondere riducendo a merce o a mezzo il corpo di una donna. Si travolge in questo caso un limite non valicabile perché viola dignità e diritti umani.
Così come rispetto a quella sofferenza, qui nel nostro Paese dobbiamo rapidamente aprire il capitolo della riforma delle adozioni, che spesso è veramente una via crucis per coppie e persone che vogliono adottare dei bambini.
Il tema è complesso ma c’è una certezza: i bambini, comunque vengano al mondo, qualunque sia la genitorialità biologica che ha dato loro vita, qualunque sia la scelta che ha determinato il loro venire al mondo, tutti i bambini hanno il diritto alla loro piena identità, hanno diritto alla piena tutela, hanno diritto che su di loro si investa e che ciascuno di noi, e soprattutto i Governi, assumano responsabilità. Il Partito Democratico ha scelto dunque questo: ha scelto, cioè, di dare conto e nominare i diversi punti di vista su un tema così complesso; ha scelto di dire che mai e poi mai il corpo di una donna può essere usato come mezzo o come merce; ha scelto di dire che maternità è anche libera scelta; ha scelto di dire che i bambini hanno diritto a una piena tutela indipendentemente dal modo in cui nascono.
Informativa urgente del Governo in merito all’attuazione della normativa in materia di interruzione volontaria di gravidanza, alla luce della recente pronuncia del Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa
L’informativa urgente svolta dalla Ministra della salute Lorenzi in aula nasce in seguito alla recente pronuncia del Consiglio d’Europa, in cui si legge che le donne che cercano accesso ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza continuano ad avere di fronte una sostanziale difficoltà nell’ottenere l’accesso a tali servizi nella pratica, nonostante quanto è previsto dalla legge. Il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa denuncia una situazione in cui, in alcuni casi, considerata l’urgenza delle procedure richieste, le donne che vogliono un aborto possono essere forzate ad andare in altre strutture, in Italia o all’estero, o a mettere fine alla loro gravidanza senza il sostegno o il controllo delle competenti autorità sanitarie, oppure possono essere dissuase dall’accedere ai servizi di aborto, a cui hanno, invece, diritto in base alla legge n. 194. Lo scorso ottobre una relazione del Ministero al Parlamento ha messo in risalto come in alcune regioni è praticamente impossibile trovare un medico non obiettore. Le percentuali di obiezione tra i ginecologi sono superiori all’80 per cento in Molise, in Basilicata, in Sicilia, in tante altre realtà regionali. L’Istituto superiore di sanità stima che, nel 2012 siano stati praticati tra i 12 mila e i 15 mila aborti clandestini. Ciò vuol dire che alle stime ufficiali degli aborti legali va aggiunto un 10-12 per cento. Vuol dire dunque che ci sono donne che ai percorsi legali preferiscono rivolgersi a circuiti illegali e poco sicuri dal punto di vista sanitario, con grossi rischi per la propria salute. È facile pensare che coloro che, pur avendo la possibilità di rivolgersi ad una struttura pubblica, poi preferiscono rivolgersi a circuiti non protetti, siano proprio le persone più fragili, come le donne immigrate con un basso grado di integrazione, minorenni italiane poco informate sui propri diritti di donne e chi, di fronte ai dinieghi, preferisca alla fine affidarsi a qualche facilitatore. Oltre a monitorare con attenzione la presenza dei medici non obiettori, bisognerebbe assicurare a questi ultimi anche una parità di trattamento all’interno delle strutture sanitarie e nella possibilità di carriera, affinché una scelta di libertà non si tramuti in un ostacolo professionale. Un’indicazione in merito arriva dalla Corte di cassazione, che si è pronunciata recentemente in materia, affermando che un medico che si dichiara obiettore di coscienza non può rifiutarsi di curare la paziente che si è sottoposta a interruzione volontaria di gravidanza in ospedale: questo perché il diritto alla salute della donna è preminente davanti all’obiezione dei singoli medici. D’altronde, in un sistema sanitario di tipo universale e per come è concepito il diritto alla salute nella Costituzione, non potrebbe essere altrimenti. Per questo la Ministera della salute si è impegnata ad intraprendere azioni utili a garantire il diritto all’interruzione di gravidanza volontaria in tutte le strutture pubbliche, intervenendo in maniera più incisiva ove oggi non risultano in pianta organica medici non obiettori.