Dovremmo avere ben chiaro tutti quanti noi come ci attenda, nella legislazione comunitaria e ancor più in quella nazionale, la necessità di una vera svolta culturale che ponga al centro i principi, la chiarezza normativa e l’efficacia degli effetti attesi.
Il prodursi in forma confusa di norme sovrapposte, a volte contraddittorie, rappresenta un peso enorme nelle loro ricadute economiche: è qualcosa per cui non possiamo più fare finta di nulla, è qualcosa che non possiamo più ignorare. Secondo il rapporto allegato al Libro verde, infatti, la complessità del sistema provoca un mancato introito da IVA dovuto a frodi, mancati pagamenti, errori ed altro, e alla complessità del sistema, che, nel 2009, può essere prudentemente stimato in una cifra pari al 6,9 per cento del prodotto interno lordo e al 12 per cento delle entrate IVA dell’Unione europea.
Ciò significa un’evasione pari a 118 miliardi di euro. A questo si affianca, come sacrosanto, il tema dell’equità, della trasparenza, della lotta all’evasione e all’elusione fiscale, che in Italia produce effetti allarmanti. La percentuale di evasione salirebbe, secondo il rapporto, al 22 per cento, per un totale di circa 29 miliardi di euro di IVA evasa, rispetto ad un gettito complessivo pari a oltre 130 miliardi di euro; mentre, secondo uno studio pubblicato sulla rivista della Società italiana di statistica, il gap IVA rispetto a quella potenziale risulta superiore al 25 per cento e si colloca su livelli più elevati di circa il 15 per cento rispetto alla media europea.
Questo è il contesto nel quale ci muoviamo. In un momento drammatico per l’economia, queste considerazioni sono urgenti e chiamano alla responsabilità di tutti noi, così come lo sono in un momento di mancanza di credibilità delle istituzioni nazionali e comunitarie. Si tratta di problemi che il mondo delle imprese ci chiama a risolvere e ad avere come urgenza imprescindibile.
La frammentazione del sistema comune dell’IVA dell’Unione europea, divisa in ventisette sistemi nazionali, rappresenta l’ostacolo principale a scambi efficienti, impedendo così ai cittadini di beneficiare dei vantaggi di un mercato unico autentico. Le imprese attive a livello internazionale ritengono di pagare un prezzo per questa mancanza di armonizzazione sotto forma di complessità, costi di conformità supplementari ed incertezza giuridica. Le piccole e medie imprese molto spesso non dispongono delle risorse necessarie per far fronte a questi aspetti e rinunciano, pertanto, ad intraprendere attività transfrontaliere. Quindi, la necessità di semplificazione e di omogeneità normativa diventa un problema legato strettamente alla competitività e alla capacità del nostro Paese di stare in un mercato realmente unico.
La differenziazione delle aliquote può rendere l’imposta in qualche modo redistributiva della ricchezza. Accogliamo positivamente l’atteggiamento del Governo, non solo sulla nostra mozione, accettando la riformulazione che ci propone, anche se avremmo preferito sul punto specifico stare in un ambito europeo, ma capiamo il principio su cui si fonda e su cui si fonda anche la delega fiscale votata da quest’Aula e dal Senato e attendiamo alla rilettura. Siamo particolarmente convinti della bontà e plaudiamo al Governo del fatto che valuti positivamente la necessità di predisporre efficaci misure di contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale, non in senso generale, ma rispetto a quando chiediamo di adeguare un aumento dell’aliquota dell’imposta sostitutiva sulle rendite finanziarie e una revisione dell’imposta delle transazioni finanziarie.
Questo è il punto fondamentale della nostra mozione, che la differenzia da tutte le altre, così come quando salvaguardia in maniera adeguata le aliquote differenziate. Ma questo è il punto qualitativo, a nostro avviso, della mozione, perché se la leva fiscale ha un senso che non è solo quello di fare gettito, se non è solo quello di garantire entrate allo Stato, ma ha una valenza forte di natura politica, che è quella di addivenire a una giusta redistribuzione della ricchezza. Questo ci sembra il senso adeguato. Non è il ricorso, come è stato fatto in questi anni, ad un’aliquota certa – perché è un’imposta legata al consumo e, quindi, con una larghissima base imponibile – ma diventa, soprattutto nel contrasto dell’elusione e dell’evasione e con l’aumento delle aliquote sulle rendite finanziarie, un criterio anche di giustizia e di equità fiscale.