Se dopo Monti ci fosse Monti, significherebbe che non ci sarebbe più la politica come strumento di cambiamento e di disegno del futuro.
Quella stessa politica che in questo anno ha abdicato al suo ruolo, si ridurrebbe definitivamente a luogo di bassa consorteria, avvallo di volta in volta di scelte politiche dietro una facciata tecnica.
La paventata incertezza sulla futura governabilità dell’Italia, argomento usato come clava in qualsiasi contesto, è figlia e complice di chi dopo i segnali di cambiamento alle amministrative del 2011 e gli straordinari successi dei referendum, ha voluto mettere una sordina allo spirito di alternativa che si stava concretizzando. Temere ciò che si è creato risulta un tantino ipocrita.
Non stupisce che a ripetere la litania del “Monti dopo Monti”, sia chi, in assenza di proposte sia stato particolarmente attento, negli ultimi vent’anni, a ritagliarsi un proprio angolino al sole, prima sostenendo Berlusconi e poi sperimentando progetti non troppo riusciti di aggregazione centrista.
Questo accanimento assomiglia molto a una strizzata d’occhio a quei protagonisti dell’economia e della finanza di breve memoria, che fino allo scorso anno si bevevano le promesse di Berlusconi e Tremonti e oggi non immaginano, o forse temono, che il futuro possa essere fatto di scelte, di chiare responsabilità, preferendo tenersi stretto il bocconiano di Palazzo Chigi, come alibi per i propri errori.
In un Paese che ha bisogno di radicali riforme, l’anno del governo tecnico, ha reso evidente come queste riforme abbiano assunto per lo più le sembianze di tagli di natura economica e che la scelta di dove si indirizzano le ricadute di questi provvedimenti non ha nulla di tecnico, ma molto (moltissimo!) di politico.
Occorre imboccare, con coraggio una strada nuova, prima ancora di indicarla agli elettori. Assumere su di se l’onere di essere apripista di una nuova stagione politica, che rischia ancora di essere poco chiara. Assistiamo ad una triste kermesse provinciale, in cui inserire la parola Italia nel proprio simbolo pare essere l’unico aspetto di novità possibile. Occorre uscire da questa visone chiusa e asfittica avere uno spirito di attenzione ad un livello quanto meno europeo. Sapendo bene che l’Europa, per non involvere del tutto, ha bisogno di una credibilità superiore e più forte delle ricette liberiste, fino a qui sperimentate, le quali, oltre ad essere dannose finiscono per essere collante alle peggiore derive di estrema destra fatte di odio e razzismo.
I pochi mesi che ci separano dalle elezioni non ridaranno fiato al dibattito politico se prevarrà la sensazione che tutto sia in qualche modo già scritto.